Lupi, grifoni e corvi avvelenati: il mistero del Parco d'Abruzzo. L'ombra dei cacciatori di tartufi

L'ipotesi: «Usate polpette avvelenate con la stricnina»

Lupi, grifoni e corvi avvelenati: il mistero del Parco d'Abruzzo. L'ombra dei cacciatori di tartufi
di Sonia Paglia e Giovanni Sgardi
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Giovedì 18 Maggio 2023, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 10:34

Forse sono stati i raccoglitori di tartufi che disseminano il terreno con bocconi avvelenati per uccidere i cani dei rivali e non amano avere altri animali selvatici in zona che disturbano. Visto il business in ballo, non ci si fa scrupoli per mettere fuori gioco l’avversario neutralizzando il suo animale. In seconda istanza c’è l’ipotesi degli allevatori, che arrivano in prossimità del Parco d’Abruzzo a fine primavera per far pascolare i loro greggi in aree affittate dai Comuni. Comunque sia, nell’area protetta sulle montagne abruzzesi è caccia ai killer dei lupi. 

Ne hanno ammazzati già nove, di lupi, a Cocullo.

Un avvelenamento a catena, perché, mangiando le carcasse dei lupi, sono morti anche cinque grifoni e due corvi imperiali. 

SOSPETTO

Quello che a ridosso del Parco d’Abruzzo sembrava un sospetto, nei giorni scorsi è diventato realtà: sì, c’è un killer dei boschi, perché sono state trovate le esche avvelenate. Esche non lontane dal punto di rinvenimento dei resti degli animali. Alcuni lupi erano in avanzato stato di decomposizione. Altri, invece, ancora integri. I volatili avrebbero perso la vita alimentandosi delle carcasse diventate tossiche. La mano assassina sarebbe di un avvelenatore raffinato, che confeziona bocconi relativamente piccoli, di un chilo o mezzo chilo, in modo tale che il predatore riesca a mangiare tutta l’esca. La sostanza letale? La stricnina, utilizzata nei tempi passati per uccidere la fauna, non è più facilmente reperibile. E’ stata sostituita da anticrittogamici, miscelati tra loro, tanto da formare prodotti intermedi chimicamente sconosciuti.

Quanto agli autori della strage, secondo gli investigatori, sono fortemente indiziati i tartufai. Anche se in questo periodo il prelievo dei tuberi è vietato, spesso vengono sorpresi raccoglitori di frodo pronti a tutto per una “pepita” profumata in più. Ma nel mirino ci sono anche gli allevatori di bestiame. Quello portato sui monti a fine primavera, che potrebbero aver così inteso bonificare il territorio dai predatori, lupi principalmente, prima dell’invio delle mandrie dal sud Italia. Chiaramente si tratta di ipotesi che necessitano, però, di ulteriori conferme da parte degli inquirenti. Per procedere con le indagini, si attende l’esito delle analisi da parte degli esperti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, dove la Asl ha portato i resti degli animali. Conoscere il tipo di veleno, significa poter risalire al venditore e, forse, all’acquirente.

A scoprire la carneficina, sono stati il personale e i volontari di Rewilding Apennines, insieme a Salviamo l’Orso, durante le attività di monitoraggio della zona. Operazioni condotte insieme ai carabinieri forestali e al servizio sorveglianza del Parco. Le carcasse sono state trovate nel corridoio ecologico che unisce il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Naturale Regionale Sirente Velino. Una zona molto sensibile, frequentata anche dall’orso bruno marsicano (per fortuna non ci sono esemplari uccisi).

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LA LETTERA

Intanto diverse associazioni ambientaliste hanno inviato una lettera alle autorità nazionali, regionali e locali, competenti in materia ambientale e di polizia giudiziaria, per chiedere con forza, azioni incisive, di prevenzione del fenomeno. Così come il rafforzamento delle procedure di intervento e investigazione, al fine di ridurre il più possibile questo gravissimo rischio per la biodiversità e per le comunità umane. Si rivolgono anche ai cittadini, affinché siano consapevoli, che tali crimini, purtroppo, sono ancora presenti. «Lo spargimento di bocconi avvelenati o carcasse con veleno sul territorio – si legge nella nota di Rewilding Apennines - è una pratica criminale che deve essere combattuta e condannata e che rappresenta una minaccia per la sicurezza, non solo della fauna selvatica, ma anche dell’uomo e degli animali da compagnia».

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