L’Aquila dieci dopo: il racconto di Stefania, sopravvissuta alla Casa dello Studente

L’Aquila dieci dopo: il racconto di Stefania, sopravvissuta alla Casa dello Studente
di Daniela Rosone
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Sabato 6 Aprile 2019, 10:11
L’AQUILA - "Vivo con la costante speranza di ritornare un giorno, ho sempre avuto dei sentimenti contrastanti rispetto all’Aquila, l’ho amata da impazzire e l’ho odiata tantissimo, la grande Signora che tutto mi ha dato e che tutto si è ripreso. Ma non riesco a starle lontana, in quei vicoli io rivedo i miei giorni felici". Le parole sono di Stefania Cacioppo. Aveva 23 anni da poco compiuti quando il terremoto ha sconvolto la sua vita, uscita viva dalle macerie della Casa dello Studente in quella città che aveva imparato ad amare e nella quale si trovava da tre anni, studentessa siciliana di Scienze dell’Investigazione. Da 4 anni è tornata in Sicilia, dove vive, ma all’Aquila rientró dopo un mese dal sisma per terminare gli studi e per conseguire anche la laurea magistrale in Psicologia applicata.

"La Casa dello Studente - racconta - per me era divenuta un luogo sacro, dove andavo a fare visita, in fondo non avevo un luogo dove piangere i miei amici, soprattutto Michelone che essendo palestinese era tornato in patria". Dopo dieci anni Stefania ancora ha la sua grande famiglia dell’Università con la quale si sente sempre, con una mamma speciale, un pó come la Wendy di Peter Pan, così la definisce, ed è l’avvocato Wania Della Vigna che per lei e tanti altri è divenuta un faro e un sostegno in questi anni. Tornando a quella notte, è difficile per Stefania far capire alla gente che legge o ascolta quello che gli occhi hanno visto ed è difficile pure trasmettere le sensazioni provate. Stefania racconta delle scosse continue, delle rassicurazioni ricevute.

"Sono passati dieci anni - dice - e ancora sento quell’odore di calcinacci. Il primo piano era andato giù e noi con lui. Vedevo le pareti sgretolarsi e osservavo inerme. Guardandomi con la mia coinquilina capimmo a un certo punto che era il momento di scappare. La porta per metà era ricoperta da una parete crollata, eppure la disperazione alle volte riesce a farti una forza che neppure sai di avere".

Stefania racconta che il momento più brutto della sua vita fu la presa di coscienza di quello che stava accadendo. Davanti a lei c’era il nulla. Il suo migliore amico era Michelone, lo chiamavano tutti così Hussein Hamade. Anche lui era lì ma non ce l’ha fatta. La sua camera non si vedeva più. Non rispondeva ai richiami di Stefania e degli altri studenti. In quel momento Stefania pensó ad un ultimo desiderio da voler realizzare, racconta, quello di sentire la sua mamma, alla quale disse di non piangere, di stare tranquilla anche se non sapeva se sarebbe uscita viva da lì. Stefania ripercorre quei momenti con dolore. Da una piccola finestra di un bagno chiamarono aiuto, erano in 4.

"Ho pianto e pregato Dio - dice - affinché tutto finisse, nel bene o nel male purché finisse. Non ricordo benissimo il tempo trascorso sul braccio meccanico dei Vigili, ricordo solo che ero molto confusa. Pensavo che il peggio era passato, che era tempo di baciare quella terra che mi aveva risparmiata, ma ero ignara di quello che avrei appreso di li a poco, cioè che c’erano ancora i miei amici dentro, c’era Michelone. Loro non hanno avuto il mio stesso destino. La sua morte ha stravolto la mia scala dei valori, l’essenza della mia emotività, la percezione delle cose. Sono sopravvissuta al dolore, si sopravvive ma certi scenari, certi odori, aldilà del tempo che passa al contrario non passano mai ".

La città manca a Stefania, nonostante tutto. Le mancano le passeggiate da Via XX Settembre sino al centro, il dialetto, gli arrosticini, i musicisti che arrivavano nel periodo di Natale e pure le infinite attese dei bus. "Come ci stavo ? Oliver Wendell Holmes diceva “casa è quel luogo che i nostri piedi possono lasciare, ma non i nostri cuori”. Forse non esiste definizione che si avvicini di più al mio concetto di come stavo all’Aquila. Per me era casa e per ognuno di noi nessun posto è migliore di casa nonostante i difetti ". Oggi Stefania è lontana ma augura all’Aquila di splendere sempre di più.

"Così anche da lontano - conclude - io potrò ammirare la sua luce e vivere del suo riflesso. Agli aquilani, alla mia gente, avrei tante cose da dire. Purtroppo non sono in grado di alleviare il dolore di coloro che sono stati colpiti negli affetti più cari ma auguro loro la rinascita, nelle sue varie forme di resurrezione e trasformazione. Non so cosa auguro a me stessa, forse di alleviare il senso di colpa, certe cose sono destinate ad essere e non c’è nulla che si possa fare per evitare l’inevitabile. Spero di essere felice un giorno, di realizzarmi, crearmi una famiglia e perché no, tornare all’Aquila ".
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