L'AQUILA - La processione è lenta, ma costante. A piedi, ma a volte basta anche solo uno sguardo fugace dall'auto. Il cancello dell'Asilo I maggio è chiuso. Si apre solo per permettere l'ingresso degli operai comunali che portano via culle, banchi, arredi e per gli inquirenti che completano gli accertamenti.
Fanno capannello anche alcuni docenti, quasi come a voler marcare la presenza in quello spazio che avrebbe dovuto essere, solo e sempre, gioia, curiosità, sorrisi, serenità. Sulle ante del cancello e sul tratto di muro contiguo aumentano con il passare delle ore i mazzi di fiori, quasi tutti bianchi, i messaggi «al piccolo angelo Tommaso», morto a soli 4 anni travolto da un'auto che lì giù non doveva arrivare.
E poi i peluche, le candele. Arrivano alla spicciolata, soprattutto da gente comune, dalla città che si è riscoperta fragile e maledetta forse come lo era stata prima d'ora solo dopo il sisma del 2009. È il giorno del lutto, un altro 6 aprile, delle serrande chiuse e delle iniziative cancellate. Ma è anche il giorno della presa di coscienza, di chi arriva appositamente qui davanti per rendersi conto: «Quale è la discesa?». Già, la discesa. Non si parla d'altro che di questo lembo d'asfalto che ha finito per amplificare velocità e forza di quell'auto fuori controllo, terminando proprio sul giardino, che avrebbe dovuto restare un'oasi di pace.
In lacrime, davanti a fiori, arriva anche l'ex maestra Ivana Anneci, in pensione dopo 38 anni di servizio in scuole storiche dell'Aquila come San Bernardino e Torrione. «Volevo venire qui a vedere il luogo dove è mancato il piccolo Tommaso», spiega, mentre la sua voce si confonde tra i singhiozzi e il tessuto della mascherina.
«Non posso pensare a tutte queste creature - rimarca - senza immaginarli felici a giocare, fino a quando all'improvviso non gli è piombato questo fulmine addosso.
L'auto della morte non c'è più, portata via con un'operazione speciale alle prime luci dell'alba. La discesa è sgombera, segnata solo dai nastri dei sequestri. Gli agenti arrivano e prendono ancora misure su misure, delimitano i campi, registrano i dati. Fa tutto parte degli accertamenti che serviranno a dare le risposte sulla sicurezza, sulla vigilanza, sull'adeguatezza della struttura. Tutto intorno il silenzio è rotto solo dalle auto in transito. «Qui ieri era un inferno» dice un cronista. Il silenzio resterà tale: i bambini per ora non vi torneranno, cercheranno di cancellare dai loro occhi il dramma andando in altre sedi, tra via Ficara e Giovanni XXIII.
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