Silvio Ascenzi, una lunga storia che si intreccia con la città

Silvio Ascenzi con Papa Giovanni Paolo II nel 1984
di Carlo Maria Ponzi
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Domenica 7 Febbraio 2021, 16:48 - Ultimo aggiornamento: 16:49

Nella prima di copertina, cinto dalla fascia tricolore, accoglie Giovanni Paolo II (27 maggio 1984). Nella quarta di copertina, foto di famiglia in un esterno: insieme alla moglie Cristina, è attorniato dai quattro figli (Maria Gabriella; Nicoletta, scomparsa prematuramente nel 2018; Raffaele, autore di due Macchine di Santa Rosa, Ali di luce e Gloria;  Guglielmo), dai dieci nipoti, dai generi e dalle nuore.

Se è vero che in molti casi le immagini valgono più delle parole, Silvio Ascenzi non ha scelto a caso le foto descritte. La prima esplicita il suo impegno politico, non disgiunto dalle pratiche religiose; la seconda, l’amore e la dedizione per i suoi immediati congiunti.

Varcata la soglia degli 80 anni lo scorso 7 dicembre («sono nato al civico 81 di via San Lorenzo da Filippo e Caterina Henrici de Angelis») ha maturato il desiderio di confezionare la sua autobiografia, dettata al giornalista Giovanni Faperdue che ha tirato fuori un volume di 150 pagine, di grande formato: “Silvio Ascenzi: una storia, una famiglia, tanti ideali”.

Il racconto intreccia le gesta degli avi (“alla metà dell’800 il bisnonno Filippo, marchigiano, impiantò a Viterbo una fabbrica di fiammiferi”) e del padre Filippo. Fascista della prima ora, consigliere e assessore comunale, segretario federale del partito Fascista, Podestà dal 1931 al 1934, primo presidente della ricostruita Provincia, autore di tante opere urbanistiche (a cominciare dalla copertura del torrente Urcionio e la conseguente apertura di Via Marconi). Curiosità storica: su proposta del repubblicano Duilio Mainella, antifascista, presidente dell’Anpi, nel 1949 il consiglio comunale intitolò al suo nome, con voto unanime, il tratto stradale che da piazza del Comune conduce a piazza del Sacrario. 

Il volume, va da sé, srotola il denso cursus honorum di Silvio: imprenditore agricolo, insieme al fratello Francesco, di una fiorente azienda; dirigente dell’associazione del settore, presidente della scuola per infermieri, membro del Cda dell’Università della Tuscia, consigliere e assessore comunale (democristiano, liturgia andreottiana, non poche volte eretico al verbo del Divo Giulio), consigliere provinciale, presidente della Camera di commercio.

Quindi, nel 1983 e fino al 1986, sindaco della Città dei Papi, a guida di una giunta centrista composta da democristiani, repubblicani e liberali, ideatore, al pari del padre, di vari interventi di risanamento urbanistico nel centro storico.

Zeppo di foto (dall’infanzia alla maturità, a cavallo, in sella alla moto Laverda, con la divisa di Facchino di Santa Rosa, spalletta del “Volo d’Angeli” etc.) e di aneddoti, il volume si chiude con uno struggente ricordo “amatissimo” di Nicoletta. «Si definiva e firmava ‘f.t.p.’ (tua figlia preferita), non perché si anteponesse ai fratelli, ma perché la sua vicinanza costante mi dava conforto nelle difficoltà, appoggio nelle decisioni, e anche rimprovero amorevole quando perdevo la pazienza e lo manifestavo a lei in una complice confidenza. Ancora adesso, quando devo prendere una decisione o desidero qualcosa, mi rivolgo a lei, sicuro che la mia richiesta sarà ascoltata». 

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