«Di queste due settimane porterò sempre nel cuore gli occhi, le parole e le mani di medici e infermieri. Erano nascosti sotto occhiali spessi due dita, camici pesanti e tre paia di guanti, eppure non c’è stato un momento in cui non ho sentito il loro calore».
Tredici giorni dopo esserci piombata Eugenia, 29 anni, ha lasciato il reparto Covid dell’ospedale di Belcolle. Una lenta scalata iniziata da una notte in osservazione in rianimazione, passata da una settimana in terapia subintensiva e sei giorni con una maschera per l’ossigeno a nasconderle i lineamenti. Un giro di lancetta dopo l’altro prima di attraversare lungo un corridoio verde acido per essere trasferita nell’ala dove il virus non si combatte in trincea.
Un primato amaro quello di Eugenia, tra le più giovani colpite così duramente dal Covid. «Nel reparto era la più piccola», spiega. Si arresta, respira nella cornetta e poi scorre in sequenza i visi di chi condivideva con lei la degenza: «Vivere certi momenti, rendersi conto di cosa succede davvero è un pugno nello stomaco». Paura non ha avuto tempo di averne. «Non ho realizzato subito quello che stava succedendo al mio corpo – racconta - perché mi sentivo debole, spossata, ma la gravità l’ho capito solo fissando lo sguardo dei medici».
L’esordio: una febbre violentissima andata avanti diversi giorni.
Trasferimento a Viterbo e qualche crisi d’ansia adesso c’è. Scivolano via grazie all’aiuto e al sostegno del personale che lavora sodo e sorride con gli occhi da dietro la visiera. «I primi giorni sono stati difficili ma gli ultimi, se possibile più pesanti. Volevo uscire, respirare all’aria aperta. Quando il tampone di controllo ha dato esito negativo ho sentito una scossa - conclude Eugenia - ed ero felice e con tanta voglia di ringraziare chi, a Tarquinia prima e Viterbo poi, questa gioia mi ha dato la possibilità di viverla. Medici e infermieri sono i veri eroi di questa battaglia, di loro ci scorda troppo facilmente».