Nessuno sa, nessuno capisce. E nessuno ha visto niente. I tre al servizio di Ismail e David Rebeshi sono testimoni del processo per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Vittime due imprenditori della Tuscia, presunti creditori del boss di mafia viterbese. L’inchiesta prende le mosse quando Rebeshi è già dietro le sbarre con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe continuato a impartire ordine ai suoi per rientrare di alcuni crediti. In particolare avrebbe manifestato al fratello David, in quel frangente ancora libero, la necessità di recuperare crediti presso due piccoli imprenditori, con precedenti penali. I due, un ristoratore e un tuttofare nel campo della compravendita di automobili, nel processo si sono costituiti parte civile.
Rebeshi junior, con l’aiuto di tre ventenni albanesi - condannati in appello a quasi 9 anni di carcere - avrebbe minacciato e inseguito i due creditori del fratello. A raccontare le estorsioni ieri sono stati chiamati i tre ventenni, che hanno parlato in video collegamento dai carcere dove sono reclusi.
Stessa versione ripetuta anche dall’ultimo testimone, che come gli altri ha spiegato al collegio di aver cambiato i fatti rispetto all’interrogatorio di garanzia, perché quando sono stati ascoltati dal giudice erano sconvolti per i 20 giorni di isolamento. Alla domanda del pm Fabrizio Tucci sul nome particolare con cui chiamavano David Rebeshi, uno dei tre ha spiegato: «Era solo in segno di rispetto»