Mafia viterbese, le difese provano a smontare l'accusa

Un attentato di mafia viterbese
di Maria Letizia Riganelli
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Mercoledì 7 Aprile 2021, 06:10

Mafia viterbese, in Corte d’Appello le motivazioni della difesa.
Questa mattina gli avvocati dei membri della banda mafiosa capeggiata da Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi proveranno a spiegare perché quel sodalizio non era di stampo mafioso.
Terza udienza per il processo d’appello. L’11 agosto 2019 scorso Trovato e Rebeshi, insieme a diversi sodali, sono stati condannati dal gup del Tribunale capitolino rispettivamente a 13 anni e 4 mesi e a 12 di carcere. In totale alla banda son stati infletti 75 anni di carcere per oltre 50 i capi d’imputazione.Una condanna senza attenuanti, in cui l’accusa di mafia non si è mai incrinata. 
Il procuratore generale della Repubblica, che ha discusso solo poche settimane fa davanti alla Corte, ha già chiesto la conferma in toto della condanna, ma le difese oggi sono pronte a giocare tutte le loro carte.
I primi a discutere saranno gli avvocati dei gregari, poi sarà la volta dei due capi: Rebeshi e Trovato, assistiti rispettivamente da Roberto Afeltra e Giuseppe Di Renzo.
Per tutti il punto principale è l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Il 416 bis che per la prima volta è stato contestato, e confermato in primo grado, nel capoluogo della Tuscia. L’obiettivo è smontarlo. Un po’ come successe appena qualche anno fa con la vicenda di Mondo di mezzo, quando il primo grado riconobbe l’associazione mafiosa e l’Appello no. 
Secondo la difesa il giudice Emanuela Attura sarebbero stato precipitoso e avrebbe esaminato solamente le prove funzionali alla propria visione. Non solo, verrebbe meno anche il caposaldo dell’omertà. Le vittime, secondo la difesa di Trovato, non sarebbero state reticenti e non avrebbe risentito di paura o costrizione. E la comparazione con la mafia di Ostia non reggerebbe. 
«E’ evidente - si legge nell’appello presentato dall’avvocato Di Renzo - che la tanto decantata “fusione” tra Trovato (da solo, interessato ai compro-oro) e il gruppo “albanese” (dedito allo smercio di stupefacenti e alla gestione dei locali notturni per stranieri), non ha mai trovato un fine o una organizzazione comune, limitandosi di contro alla semplice concorrenza nei singoli reati».
Fuori discussione, sempre secondo gli avvocati degli imputati, anche l’ipotesi che Giuseppe Trovato sia stato il capo della consorteria. «Le beffe fatte dal Rebeshi - spiega ancora la difesa - sui mancati risultati conseguiti dal Trovato, indicano al contrario un ruolo di poco conto. Il ruolo di capo rivendicato dal Trovato, è smentito nei fatti dalle stesse intercettazioni».
Presto per capire cosa decideranno i giudici della Corte d’appello.

In calendario ci sono ancora altre due udienze. La sentenza dovrebbe arrivare il 5 maggio.

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