Emergenza cinghiali nella Tuscia, agricoltori costretti a cambiare coltivazioni

Emergenza cinghiali nella Tuscia, agricoltori costretti a cambiare coltivazioni
di Simone Lupino
2 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Gennaio 2023, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 11:13

Oltre 10 milioni di euro di danni nel Lazio causati dai cinghiali all’agricoltura in un anno. E’ uno dei dati presentati all’auditorium di Valle Faul in occasione del convegno “Fauna selvatica e territori: conoscere per gestire”, organizzato da Confagricoltura. «Sono cifre sottostimate – spiega però il presidente provinciale dell’associazione, Remo Parenti – spesso gli agricoltori neanche denunciano più se i danni non sono molto elevati. Non conviene. Altrimenti, bisognerebbe perdere una mattinata per fare la domanda e poi aspettare anni per il rimborso, solo una piccola cifra rispetto al danno subito. Su 3 mila euro, ad esempio, un indennizzo di circa 800 euro. Addirittura c’è un tetto a 15mila euro oltre il quale non si può andare».

Per contenere le perdite, gli agricoltori viterbesi si sono dovuti adeguare: «Nella scelta del seme da seminare si punta su quelli che i cinghiali sembra appetire di meno. Tra i cereali l’orzo rispetto a mais o i girasoli. In alternativa c’è il trifoglio: l’investimento iniziale è minore e di conseguenza anche l’eventuale danno. Si tratta però di un ridimensionamento per l’azienda perché il trifoglio è meno redditizio e non richiede molta mano d’opera, per cui ci sono ripercussioni negative anche sull’occupazione».

Nonostante si contino più abbattimenti, il numero di ungulati cresce. «L’aumento è esponenziale.

C’è poi da sfatare un luogo comune, secondo il quale gli attacchi dei cinghiali sarebbero aumentati perché l’uomo è andato ad aggredire il loro habitat. In realtà negli ultimi 30 anni la superficie coperta da boschi è aumentata di un milione e mezzo di ettari. Allo stesso tempo stiamo perdendo centinaia di ettari di terreni coltivati perché fare agricoltura sta diventando sempre più difficile per tanti fattori, anche i cambiamenti climatici».

Soluzioni in vista? «Sono gli enti preposti che scientificamente devono decidere come intervenire. Le opzioni possono essere - aggiunge Parenti - l’allargamento del periodo di caccia, ma non necessariamente c’è bisogno di abbatterli. Si parla di sterilizzazione, di cattura e trasferimento: va bene, l’importante è che si faccia qualcosa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA