Mentre Papa Francesco ha iniziato le catechesi del mercoledì dedicate ai vizi capitali affrontando anche il tema della lussuria, è uscito in questi giorni un interessante libro dedicato al Sesto Comandamento, quello che intima ai cristiani di non commettere atti impuri, da sempre al centro della morale cattolica.
L'autrice di “Atti Impuri” (pubblicato dagli Editori Laterza, pagine 82, 13 euro), la storica Lucetta Scaraffia, analizza cosìn il percorso finora fatto dalla Chiesa mettendo in evidenza che ha sempre concentrato la sua attenzione più sul peccatore e mai sulla vittima.
Nonostante questo comandamento sia l'unico di tutto il Decalogo ad avere cambiato denominazione nel corso della storia, il non commettere adulterio delle origini bibliche è divenuto nel XVI secolo non commettere atti impuri. Per Scaraffia, anche se si tratta sempre di norme relative al comportamento sessuale, la differenza è importante. L'adulterio, annota, è un atto che rompe gli equilibri comunitari e familiari, sconvolgendo le relazioni sociali, mentre gli atti impuri riguardano solo il peccatore che diventa impuro. «L'attenzione quindi si sposta dalle relazioni, danneggiate dalla trasgressione, all'impurità del solo colpevole, ecco perché la Chiesa fa molta fatica a occuparsi delle vittime. Del resto a causa di una concezione sbagliata della sessualità, di tipo solo maschile, nella cultura cattolica si crede che le vittime provino comunque piacere e quindi diventino cosi complici nella trasgressione. Per affrontare le radici degli abusi bisogna dunque, ritornare a riflettere sul sesto comandamento».
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