«Così il farmaco antireumatico può fermare il virus»

Il super lavoro di medici e infermieri per contenere l'emergenza coronavirus. Nel tondo, la professoressa Francisci
di Luca Benedetti
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Sabato 4 Aprile 2020, 09:42
PERUGIA - Daniela Francisci è il direttore della struttura complessa di Malattie Infettive dell’Azienda ospedaliera di Perugia e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e tropicali dell’Università. Un mese fa, su queste colonne, l’infettivologa aveva fotografato la situazione dell’emergenza coronavirus con l’Umbria che aveva solo contagi di importazione. Cioè i casi positivi erano inizialmente legati a viaggi e soggiorni in zone rosse o contatti con persone malate.

Professoressa, un mese dopo cosa è cambiato?
«È passato un mese, ma sembra che sia passata un’epoca».

Come sono evoluti i casi con il contagio che è cresciuto e che a ieri porta, dall’inizio dell’emergenza in Umbria, a 1175 contagiati?
«Un mese fa parlavamo di casi d’importazione, adesso la situazione è più complessa da definire. Si sono aggiunti casi secondari intrafamiliari e intrapersonale. C’è una chiara circolazione del virus anche in Umbria».

Come è cambiata la sfida al Covid-19 in questo mese che è passato e che sembra un secolo?
«Bisogna sempre identificare il caso positivo, i suoi contatti stretti per circoscrivere i micro focolai. Vale sempre la regola che una volta fatta la diagnosi di caso positivo si tracciano i contratti stretti con il principio dei cerchi concentrici».

Professoressa, ha letto della ricerca dell’università di Pittsburgh che ha annunciato che il loro vaccino ha superato i test sugli animali?
«Sono sempre prudente. Bisogna andare sempre molto cauti. Tutta la comunità scientifica internazionale sta lavorando intensamente alla ricerca di un vaccino o alla ricerca di una terapia specifica mirata. E per ottenere risultati ci vorrà del tempo. Non credo si possa dire avremo il vaccino tra uno o due mesi. Quella sarà un’arma potentissima per sconfiggere il coronavirus, ma ci vorrà tempo. Saranno necessari tutti i passaggi codificati. E dovremo abituarci a convivere con il virus».

Quali sono i risultati dei farmaci che state utilizzando all’ospedale di Perugia?
«Sono terapie empiriche non c’è alcun farmaco specifico e mirato contro il Covid-19. Anche noi utilizziamo farmaci che sono utilizzati nella lotta all’Hiv. E anche la idrossiclorochina che è un antiamalarico vecchio di 70 anni. Si tratta di un farmaco che viene utilizzato anche nei pazienti affetti da artrite reumatoide».

Avete anche altri armi contro il coronavirus che state utilizzando al Santa Maria della Misericordia?
«Abbiamo utilizzato anche degli antivirali con cui abbiamo trattato soltanto tre pazienti. La procedura per avere quel farmaco è complicato e l’Azienda lo concede solo per l’uso compassionevole da somministrare a intubati molto gravi. Invece andrebbe utilizzato prima. Poi c’è il farmaco nato per la cura dell’artrite reumatoide che utilizziamo sia per endovena che sottocute e, se si azzecca il momento giusto per darlo, cioè se il paziente non è intubato, dà buoni risultati».

Significa che qualcuno è guarito?
«Significa che c’è stato un miglioramento clinico, ma c’è ancora bisogno di analisi e di dati raccolti in maniera sistematica per avere un quadro più chiaro e netto».

Professoressa, quali contatti avete con la comunità scientifica, anche internazionale, per gestire le informazioni utili per battere il coronavirus?
«I nostri punti di riferimento, anche nell’ambito di una rete di infettivologi, sono la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e l’Aifa. A livello di singoli ricercatori si avranno scambi e contatti, ma i nostri riferimenti sono con le società scientifiche».

Si legge di ospedali allo stremo, come sta andando al Santa Maria della Misericordia nella sfida al Covd-19 anche dal punto di vista della protezione di chi lavora nei reparti?
«L’ospedale gira a regime e gira bene. Funzionano i reparti Covid e la Covid diagnostica che gestiscono a dovere i pazienti, funziona la terapia intensiva sia per i malati da virus che per i non Covid. Sul fronte dotazioni ci stanno dando tutto, non è mai successo che sia mancato qualche cosa completamente».

Professoressa, qual è il rapporto che avete con i pazienti e con i familiari dei contagiati?
«I familiari hanno una fascia oraria in cui possono telefonare. Noi cerchiamo di aiutare i ricoverati a superare la solitudine andando al di là del semplice rapporto professionale».
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