Affari con i fallimenti, chiesto il rinvio a giudizio per il giudice Tommaso Sdogati e per gli avvocati Nicoletta Pompei e Mauro Bertoldi. Esce completamente di scena, invece, il giudice Simone Salcerini, anch’egli (come all'epoca Sdogati) in servizio a Spoleto, la cui posizione è stata archiviata «per infondatezza della notizia di reato». L’indagine, esplosa quasi un anno fa con l'iscrizione del giudice, della fidanzata avvocato e del collega di studio di quest’ultima, è quasi subito passata per competenza alla Procura di Firenze, visto il coinvolgimento del magistrato. In seconda battuta, i magistrati fiorentini hanno coinvolto anche il giudice tifernate Salcerini, che si è sempre dichiarato estraneo alle contestazioni.
Ora anche la Procura e il Gip di Firenze gli hanno dato ragione. Lo riferiscono i difensori del magistrato, avvocati Stefano Campanello e Mauro Messeri. «Non sussiste alcuno dei gravi reati che, a più riprese, erano stati ipotizzati: né la corruzione in atti giudiziari, né l’abuso d’ufficio e né il concorso nei comportamenti contestati ad altri soggetti. È l’inevitabile approdo – evidenziano i difensori – di un’accusa infondata: il giudice Salcerini non ha mai dubitato di questa conclusione, convinto dell’assoluta correttezza del suo operato.
A gennaio, invece, inizierà il processo a carico del giudice Sdogati, della sua fidanzata (avvocato Pompei) e del socio di studio di quest’ultima (avvocato Bertoldi). E se al togato viene contestata la corruzione, per i due avvocati (Bertoldi è di Todi, la Pompei di Gualdo Tadino) si aggiunge anche l’accusa di traffico di influenze illecite. Secondo la contestazione (titolare del fascicolo il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli) i due avvocati puntavano, con ruoli diversi e con il coinvolgimento del giudice, a mettere in piedi un vero e proprio business dei fallimenti. In che modo? L’avvocato Bertoldi (difeso da Luca Maori e Aldo Poggioni) puntava a ottenere gli incarichi di delegato alle vendite dal Tribunale di Spoleto, pagati profumatamente. E per sensibilizzare il giudice Tommaso Sdogati pressava la sua socia di studio, avvocato Nicoletta Pompei, legata sentimentalmente a Sdogati, promettendole la spartizione dei compensi.