Donne e lavoro, vince ancora la precarietà: più posti ma c'è il gap per gli stipendi

Donne e lavoro, vince ancora la precarietà: più posti ma c'è il gap per gli stipendi
di Ilaria Bosi
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Martedì 8 Marzo 2022, 08:30

PERUGIA - Donne e lavoro, un binomio che sa di precarietà. Perché se è vero che in Umbria, come nel resto d’Italia, cresce leggermente il numero delle posizioni lavorative, è innegabile che l’aumento va ricondotto in larga parte alla componente occasionale. A fotografare la situazione è la ricerca dell’Aur (Agenzia Umbria Ricerche) pubblicata ieri, che evidenzia come «il percorso di avvicinamento verso un’effettiva parità di genere nel lavoro» sia ancora «molto lento e fatto di piccoli passi». La carenza dei servizi di welfare viene indicato come uno dei fattori principali che ostacolano questo percorso, generando il «più basso tasso di occupazione, minor tempo mediamente dedicato al lavoro per il mercato, maggiore discontinuità contrattuale, alta diffusione del part-time, anche involontario, inquadramenti più bassi con minore presenza nelle posizioni manageriali e, in definitiva, remunerazioni complessivamente inferiori». La pandemia, si osserva, ha fatto registrare l’aumento del numero di lavoratrici a fronte di un lieve calo degli uomini. Ma il dato in sé nasconde un elemento di debolezza, riassumibile in una sola parola: precarietà. La componente occasionale del lavoro, rispetto al 2019, parla di 7.737 donne e 2.309 uomini. Positivo anche l’incremento delle donne nel pubblico impiego (+1728, a fronte di un calo degli uomini di 127 unità), ma il dato – osserva l’Aur – non è comunque sufficiente a «controbilanciare la perdita subita sul fronte del lavoro dipendente privato, che ha registrato una diminuzione di 4.253 unità», più del doppio della perdita registrata sul versante maschile. Le lavoratrici umbre (il dato è del 2020) sono 172.252: di queste, quasi la metà lavorano nel privato, il 20 per cento nel pubblico, 10 per cento domestiche, 7 per cento commercianti. Le donne, ancora oggi, guadagnano meno: il reddito da lavoro medio è infatti di 16.590 euro l’anno, il 27 per cento in meno rispetto a quello degli uomini (22.721 euro).

Un dato che penalizza ulteriormente le donne umbre, visto che il reddito medio nazionale del lavoro femminile supera di alcuni punti percentuali quello regionale. «Lo svantaggio femminile umbro – si legge nella ricerca – deriva da un complesso di elementi che si sovrappongono. Di sicuro i divari retributivi di genere sono giustificati dal fattore presenza sul posto di lavoro: tra le lavoratrici, il part-time è molto più diffuso (in Umbria riguarda il 35,6% delle donne, a fronte del 9,7% degli uomini)», come è inferiore il numero medio annuo di settimane lavorate (39,2 contro 42,2). Ad appesantire quello che viene definito come gap di genere c’è stato anche il Covid, che oltre ad aver colpito principalmente i settori dei servizi, come turismo e ristorazione, e le forme contrattuali del tempo determinato, ha anche indotto una parte consistente di donne a madri a restare a casa, anche per farsi carico dei figli in Dad. La pandemia ha anche modificato il quadro degli infortuni sul lavoro, inserendo nella tipologia anche quelli da infezione da Covid-19 in ambito lavorativo. Su quest’ultimo aspetto si sofferma l’analisi dell’Inail Umbria che evidenzia come, a fronte di una diminuzione del lavoro e, quindi, della relativa esposizione al rischio degli infortuni più convenzionali, chi ha pagato il prezzo più alto del contagio nei luoghi di lavoro sono state le donne. Soprattutto quelle che operano nella sanità e nelle attività di assistenza sociale. «L’emergenza sanitaria – ha evidenziato il direttore regionale Alessandra Ligi – ha avuto un impatto principalmente sul lavoro delle donne, rafforzando alcune criticità già presenti in altri ambiti come la condivisione dei carichi di cura, la violenza, l'imprenditoria, la formazione e la povertà, andando quasi ad annullare i progressi degli ultimi anni».

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