Pronto soccorso di Terni, il primario:«L'emergenza non è finita: più informazione sull'uso appropriato del servizio»

Il primario del Pronto Soccorso Giorgio Parisi
di Corso Viola di Campalto
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Mercoledì 27 Maggio 2020, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 22:47
TERNI La fase 2 al Pronto soccorso dell’ospedale di Terni è partita con le vecchie scene di affollamento da parte di cittadini che si presentano con i sintomi più banali. A gestire questa nuova fase c’è il primario Giorgio Parisi, per settimane in prima linea per affrontare un nemico subdolo come il Coronavirus.
Eppure per la paura del contagio e per le raccomandazioni arrivate ad ogni livello istituzionale gli accessi inappropriati si sono ridotti in tutti i pronto soccorso italiani. Qual è stata la situazione a Terni da un punto di visto sia qualitativo che quantitativo?
«Come in tutto il territorio nazionale a marzo e aprile l’abituale casistica del nostro Pronto soccorso è diminuita notevolmente, se non quasi scomparsa in relazione alle patologie meno gravi o a quelle di interesse squisitamente ambulatoriale, e questo ha favorito la capacità di risposta nostra e del sistema alla pandemia. Per misurare la diminuzione degli accessi basta confrontare il periodo 1 marzo-15 aprile di quest’anno con il 2019: i passaggi sono stati di 2500 contro 5700. Ma naturalmente ha influito anche il lockdown che ha costretto i cittadini a stare a casa interrompendo le normali attività scolastiche e lavorative. Infatti, se parliamo di traumatologia abbiamo valutato solamente 40 incidenti stradali contro i 175 dello scorso anno così come gli incidenti scolastici sono drasticamente scesi da 175 a 3, mentre gli incidenti domestici sono saliti dall’8.5% al 13 per cento».
Ora che cosa succederà, si può pensare di tornare entro pochi mesi alla situazione precedente e smantellare i percorsi Covid o dovremo abituarci a convivere con il virus?
«E’ una domanda a cui non possiamo ancora rispondere perché le notizie scientifiche sono spesso controverse, le innovazioni terapeutiche e l’epidemiologia cambiano di giorno in giorno, il vaccino non è ancora disponibile. Sicuramente non saranno più tollerate le abituali sale d’attesa sovraffollate o le decine di barelle attaccate l’una all’altra, con utenti in attesa di un posto letto. Tutto ciò non sarà più visto soltanto come una questione di scarso comfort o, nella peggiore delle ipotesi, di inciviltà, ma sarà interpretato anche in chiave strettamente infettivologica e peserà nei giudizi e nelle valutazioni sulla nostra attività».
Come avete affrontato l’emergenza Covid? Qual è la difficoltà più grande e che ruolo hanno avuto gli operatori?
«Nonostante la stanchezza per i ritmi incalzanti e lo sforzo di lavorare completamente coperti da tute, occhiali, guanti, calzari e visiera, questa pandemia ha notevolmente incrementato la motivazione e lo spirito di appartenenza al gruppo, anche quando abbiamo avuto qualche caso positivo tra di noi. Tutti gli operatori del Pronto soccorso hanno condiviso e contribuito alla stesura dei percorsi portando critiche e suggerimenti. Insomma, eravamo pronti e motivati anche perché sostanzialmente affrontare le emergenze-urgenze è il vero obiettivo del nostro servizio».
Quali possono essere le strategie che si potrebbero mettere in campo per evitare che i pronto soccorso tornino ad essere affollati? 
«L’iniziale paura di avvicinarsi all’ospedale per timore di contrarre l’infezione sta progressivamente allentandosi e già in questi giorni gli accessi inappropriati stanno gradualmente aumentando. I cittadini devo capire che l’emegenza Covid non è ancora finita, ma è solo entrata in una seconda fase da cui dipende l’evoluzione dell’epidemia e che richiede la massima attenzione da parte di tutti. L’affollamento ingiustificato che abbiamo ricominciato a gestire in questi giorni è diventato improvvisamente il problema e il pericolo principale. Sicuramente noi dovremo continuare a migliorare i nostri percorsi interni, ma un ruolo di grande importanza lo può rivestire solamente un’adeguata campagna informativa, locale e nazionale, sull’uso appropriato del servizio di Pronto soccorso e degli altri servizi disponibili sul territorio. Questo perché molto spesso i cittadini si rivolgono direttamente al Pronto soccorso di propria iniziativa, invece che consultare i propri medici di famiglia o i medici di continuità assistenziale che, anche in questo particolare periodo storico e durante tutta l’emergenza Covid, nonostante le notevoli difficoltà, hanno dimostrato il loro ruolo fondamentale sul territorio senza mai abbandonare i loro assistiti».
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