Trasimeno, operai pubblici e lavori privati:
dirigenti indagati all'ex comunità montana

Trasimeno, operai pubblici e lavori privati: dirigenti indagati all'ex comunità montana
di Egle Priolo
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Sabato 6 Dicembre 2014, 12:48 - Ultimo aggiornamento: 12:49
​PERUGIA - Operai pubblici per lavori privati. Campi irrigati con l'acqua di un ente regionale. O forestali impiegati nei propri giardini.

Un insieme di piccoli abusi che la legge chiama peculato e che racconta il sistema di favori per sfruttare e approfittare dei mezzi e degli uomini della Comunità montana del Trasimeno. Un sistema per cui il pm Paolo Abbritti ha indagato dieci tra dipendenti, responsabili e dirigenti dell'ex associazione dei Comuni Trasimeno e Medio Tevere, quasi tutti - vista la liquidazione dell'ente montano - assorbiti nella nuova Agenzia per la forestazione. Dieci indagati, almeno due eccellenti, che il gip Lidia Brutti ha voluto interrogare ieri mattina per decidere della sospensione dai pubblici uffici richiesta dalla procura. A due anni dai sequestri della guardia di finanza che hanno dato il via all'inchiesta.



I ventitrè capi di imputazione messi in fila dal pm, infatti, sono relativi a sfruttamenti di uomini e mezzi avvenuti nel 2012, oltre all'appropriazione da parte del commissario liquidatore di «escavatori, camion, furgoni e spaccalegna» datata tra il 2006 e il 2007, sul filo della prescrizione. Nei guai, oltre al commissario, sono finiti il responsabile del servizio magazzino, due capo area dell'ex Montana, un autista, il responsabile operativo delle squadre opere di bonifica, il responsabile operativo del magazzino, il responsabile del vivaio di una partecipata, un dipendente e l'ex presidente. Per sei, appunto, la procura ha chiesto misure cautelari interdittive, che avrebbero conseguenze più pesanti ovviamente per gli apicali, se il gip dovesse decidere di disporle.Ma cosa sarebbe successo tra i magazzini pubblici e le proprietà private? Le accuse sono diverse. In alcuni casi, gli indagati si sarebbero appropriati «delle maestranze dell'ente». Per esempio, di operai addetti alla potatura impiegati per sfoltire alberi e giardini di vicini. Oppure di falegnami per costruire casette di legno e fioriere destinate al giardino di un indagato e di sua figlia «così distogliendo - ricorda il pm - i dipendenti dal servizio pubblico cui erano adibiti e facendo un utilizzo momentaneo dei mezzi».



Dai magazzini e dal parco macchine, quindi, uscivano ruspe, aratri, bobcat, alberi di olivo, autobotti cariche d'acqua ma anche gasolio “pubblico” e furgoni «per prendere il proprio cane e portarlo a tosare». Per riuscirci, secondo le accuse, sarebbero stati alterati pure i registri delle presenze. E non solo. Perché oltre a una contestazione per truffa per un giorno di finta assenza dal lavoro a carico del responsabile operativo del magazzino, il pm ipotizza un abuso d'ufficio nella scelta del commissario di investire 100mila euro destinati a opere pubbliche in stanziamenti a circoli e associazioni di cui lui stesso era presidente o consigliere.Ieri tutti gli indagati hanno comunque provato a chiarire le proprie posizioni, spiegando al gip la loro versione e contestando radicalmente le accuse, con gli avvocati (Giuseppe Innamorati, Luciano Ghirga, Massimo Rolla e Mario Bruto Santini Gaggioli) che hanno espresso comunque perplessità per la tardività delle richieste interdittive.
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