Pasqua amara, panifici aperti ma pasticcerie chiuse:
«Costretti a buttare colombe e uova artigianali, crack di 652 milioni»

Pasqua amara, panifici aperti ma pasticcerie chiuse: «Costretti a buttare colombe e uova artigianali, crack di 652 milioni»
di Aurora Provantini e Vanna Ugolini
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Lunedì 6 Aprile 2020, 13:59 - Ultimo aggiornamento: 14:03

«Avevamo già confezionato le uova di Pasqua e acquistato tutti gli ingredienti per preparare le colombe, quando ci siamo visti arrivare la sberla dal Governo, che di fatto ci ha costretti ad abbassare le saracinesche dal 12 marzo».
Niente specialità di pasticceria artigiana sulle tavole degli italiani dunque, neanche per Pasqua: ne vieta la vendita un’interpretazione governativa del Dpcm 11 marzo 2020 in materia di contenimento dell’emergenza Covid-19 in base alla quale le imprese artigiane di pasticceria, obbligate alla chiusura, non possono vendere i loro prodotti, nemmeno attraverso la modalità da asporto che è consentita invece ad altre attività.
Secondo Confartigianato, lo stop alla produzione e vendita delle pasticcerie rappresenta una assurda discriminazione rispetto a negozi simili e alla grande distribuzione, ai quali è invece permessa la commercializzazione di prodotti dolciari. Confartigianato ha stimato che alle 24mila imprese di pasticceria e gelateria, il 70% delle quali artigiane, con 74mila addetti, la chiusura solo per il mese di aprile provocherà perdite per 652 milioni di euro, tra mancato fatturato e deperimento delle materie prime acquistate precedentemente alla sospensione forzata.
La Confederazione si è rivolta al ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli, sollecitando un intervento tempestivo che faccia chiarezza sulle interpretazioni governative, stabilisca omogeneità di applicazione delle norme in tutto il territorio ed eviti incomprensibili disparità di trattamento tra attività con codici Ateco diversi, ma produzioni simili.
«Siamo i primi – afferma Massimo Rivoltini, presidente di Confartigianato Alimentazione – a rispettare le regole per difendere la salute dei cittadini. Ma non accettiamo un’interpretazione della norma che si traduce in una palese ed assurda penalizzazione delle nostre produzioni a vantaggio di altre tipologie di prodotti di pasticceria. Così si colpiscono le nostre aziende e si nega libertà di scelta ai consumatori». La lettera al ministro dello sviluppo economico è datata primo aprile, ma ad oggi non c’è stata alcuna risposta, né rettifica al decreto.
«E’ assurdo che i panifici possano vendere anche colombe e pizze di Pasqua e a noi pasticceri ne venga fatto divieto». Stefano Amici, della “Pasticceria Pazzaglia” di Terni è uno di quelli costretti a chiudere perché ha anche la caffetteria e il ristorante. Ma non capisce perché non possa vendere al dettaglio i prodotti di pasticceria, tendendo comunque chiuso il bar.
“E’ discriminatorio” secondo Ivana Fernetti (Pasticceria Marchetti), presidente dei pasticceri e gelatai della provincia di Terni per Confartigianato e del gruppo dei produttori del pampepato. “Mettere in funzione una catena per il fresco è impegnativo, ma almeno fare vendita come fanno i panificatori di dolci pasquali, consentirebbe di proseguire l’attività e di non morire di Covid-19.  Già al momento della chiusura abbiamo dovuto buttare via lieviti e paste frolle preparate per la settimana, e non mi sembra giusto che a restare chiusi dobbiamo essere proprio noi”. Sono oltre ottanta le aziende artigiane di pasticceria e gelaterie della provincia di Terni, che hanno smesso di produrre. Anche i panificatori, quelli ai quali è invece consentito restare aperti, scendono in campo in favore dei pasticcieri.
Per Alessandro Ramozzi, dell’omonimo panificio ternano, è doloroso vedere che i fornai sono aperti durante l’emergenza Coronavirus e le pasticcerie invece chiuse. «Vorremmo che venissero autorizzate alla vendita come noi. E’ un momento difficile per tutti, dove il lavoro è dimezzato e le misure in materia di contenimento del virus rendono tutto più complicato, anche se devo ammettere che le persone sono molto disciplinate. Ma vedere le loro saracinesche abbassate fa veramente male».
«Non c’è guerra tra pasticcieri e panificatori. Anzi. Abbiamo creato il gruppo dei produttori del pampepato a Terni, proprio per mettere sullo stesso piano le due categorie». Ivana Fernetti contesta il divieto fatto alle imprese artigiane di pasticceria obbligate alla chiusura, di vendere i loro prodotti: «Dire che è discriminatorio che i forni restino aperti e le pasticcerie chiuse, quando di fatto entrambi vendono prodotti simili, infatti non vuole creare alcuna spaccatura. Tanto che Confartigianato si rivolge al ministro Patuanelli, nella speranza che molte aziende riprendano a lavorare e non che altre chiudano».  Sarebbe solo una questione di codici Ateco. Di fatto però troppe uova andranno al macero e molte aziende rischiamo di retare chiuse per sempre. «Non capiamo perché non possiamo vendere al dettaglio le nostre produzioni. Non verrebbero consumate al banco, le persone potrebbero venire a comprare le colombe di Pasqua mettendosi i fila e rispettando le distanze di sicurezza come avviene nei forni».

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