Bloccati da due mesi a ottomila chilometri da casa. «Ma questa quarantena sarà un bel ricordo»

Afra e Andrea Bellucci
di Egle Priolo
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Domenica 26 Aprile 2020, 16:47
PERUGIA - La quarantena lo blocca da due mesi. A quasi ottomila chilometri da casa. Dove lo aspettano i suoi affari e un nuovo negozio da aprire, una crisi da gestire e il dolore per i dipendenti che ha dovuto licenziare. L'unica fortuna? Che i suoi bambini hanno potuto passare tutto questo tempo con i nonni, che di solito vedono solo una o due volte l'anno. Perché Andrea Bellucci, 36 anni di tigna e coraggio, ha lasciato Perugia ormai diversi anni fa: adesso da sei vive a Fortaleza, regione Nordeste del Brasile, portando nella capitale del Cearà il gusto del vero gelato artigianale italiano. E pure della pizza. Quattro negozi avviati e uno da aprire, ma da febbraio la vacanza in famiglia si è trasformata in quarantena e soprattutto in lockdown per il suo business. Con l'incognità per quel che sarà, ma lui vuole restare positivo: «Alla fine, di questa esperienza, porterò un bel ricordo».

Andrea, sei bloccato qui da oltre due mesi, come è andata?
«Con la mia famiglia, Afra e i bambini Allegra e Matteo, uno e tre anni, dovevamo stare a Perugia dal 21 febbraio al 13 marzo. Ma il volo di ritorno è stato cancellato. Ne abbiamo prenotati altri due, ma alla fine li hanno annullati. Il prossimo è per il 5 maggio, ancora non abbiamo ricevuto disdetta, speriamo bene...».
Questa assenza prolungata ti ha creato problemi?
«Per forza. In sei anni abbiamo aperto tre gelaterie Bellucci e anche un locale dedicato a pizza, croissant e pane a marchio Morosi. Abbiamo circa una trentina di dipendenti, ma purtroppo per colpa della crisi dovuta a questa pandemia mondiale abbiamo dovuto licenziare qualcuno. Senza contare che a fine marzo avremmo dovuto aprire un quarto negozio, tra gelato e pizza, in un centro commerciale. Ma ovviamente i lavori sono stati bloccati e, per la burocrazia, la mia lontananza è stata decisamente un problema. Insomma, la ripresa sarà dura, durissima, ma io sono una persona positiva: all'inizio ero disperato, adesso però mi sto organizzando».
Come è stato tornare a Perugia e restarci per così tanto tempo?
«Di solito torniamo una o due volte l'anno per qualche giorno, adesso sono due mesi ma la casa dei miei genitori, dove stiamo passando la quarantena, per fortuna è grande. Poi siamo in zona Montebello: qui c'è il giardino e per i bambini piccoli è perfetto. A Fortaleza viviamo in appartamento, quindi c'è andata bene... Anche per me - prima del Brasile ho vissuto quattro anni a Dublino - stare a casa è una bella esperienza. Alla fine questo periodo per noi sarà un bel ricordo».
Non sono tante le persone d'accordo con te, nel mondo...
«Sono convinto che in Brasile sarà difficile ripartire, oltre al fatto che non si sa, lì, quando finirà il lockdown: se il contagio arrivasse nelle zone più povere, dove i controlli sono anche più difficili, sarebbe davvero un problema. Quindi, pensando al poi, qui stiamo bene. Alla fine siamo stati fortunati: non siamo rimasti bloccati in qualche albergo, qui siamo a casa».
E come ci sei arrivato dall'altra parte del mondo?
«Lavoravo a Dublino per una banca d'investimenti, mi occupavo di prodotti per assicurazioni. Ho conosciuto Afra, ci siamo messi insieme e lei ogni tanto tornava in Brasile. Ho iniziato ad andarci con lei e nel frattempo - solo per passione, senza nessun idea precisa - ho fatto un corso di Carpigiani a Bologna. Ho imparato a fare il gelato e un giorno, stanco della continua pioggia di Dublino, ho pensato che a Fortaleza ci sono tutto l'anno tra i 28 e i 35 gradi, il mercato mi dava molto spazio e mi sono detto perché no?».
Dalla finanza al gelato, mica è da tutti...
«Sì, è stato un bel salto».
Con qualche soddisfazione...
«Abbiamo ricevuto il premio come Miglior gelato nella tappa brasiliana del concorso di Carpigiani. Ci aspettava la sfida con il resto del mondo...».
Ma hai fatto tutto da solo?
«Sono partito da solo all'inizio, con me c'è Afra e poi ci ha raggiunto mio sorella più piccola, che è specializzata nella panificazione. È divertente però ricordare che durante il corso un altro ragazzo aveva espresso il desiderio di aprire una gelateria a Fortaleza. E io mi sono chiesto ma con tutto il mondo a disposizione proprio dove voglio aprirla io? La combinazione è stata incredibile soprattutto quando, in una città di quasi 3 milioni di abitanti, ci siamo trovati al mare. Allora l'ho invitato a lavorare con me: è stato con noi due anni».
Hai portato sapori umbri in Brasile?
«In realtà no... Lì c'è tanta frutta, che da noi non avevo mai neanche sentito nominare. Piace il pistacchio, ma vanno fortissimo gli anacardi, che altro non sono che l'appendice di un frutto che si chiama cajù. Il premio l'abbiamo vinto proprio con un gelato di caramello con fior di sale, anacardi e un dolce di cajù».
Laggiù hai portato il gelato e la pizza italiani, se tornassi mai qui cosa porteresti?
«Amache. Amache artigianali con tessuti fatti a mano, che lì sono una produzione tipica».
Ci fosse mai un'altra quarantena sarà anche più comoda.
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