Coronavirus, a rischio il 66 per cento dell'export
ma in Umbria studiata la strategia per tamponare la crisi

industria ai tempi del coronavirus
di Fabio Nucci
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Venerdì 5 Giugno 2020, 09:18

PERUGIA Con i consumi interni verso una lenta ripresa, le incognite della ripartenza economica dell’Umbria sono legate anche all’impatto del “blocco totale” sull’export umbro. Sono tre in particolare i settori più esposti alle fluttuazioni della domanda internazionale, Metallurgia, Meccanica, Sistema moda e Alimentare che da soli valgono il 67,9% del fatturato estero regionale. La modesta apertura del suo sistema economico, potrebbe preservare l’economia regionale dalle conseguenze internazionali del lockdown, rischiando però di restare ancora più indietro in caso di ripartenza dei mercati stranieri. Su tale sentiero si muove la riflessione degli economisti dell’Agenzia Umbria ricerche (Aur), Mauro Casavecchia ed Elisabetta Tondini, che sulla scorta dei dati Istat e Prometeia hanno analizzato i possibili riflessi sull’Umbria della “contrazione della domanda mondiale”.
A livello nazionale, secondo le stime Bankitalia, l’export potrebbe subire perdite superiori al 15% (-13% secondo le stime della Commissione europea) con ricadute diverse a livello territoriale e settoriale. «Tenendo conto della specializzazione dell’export umbra, per la quale i primi quattro settori (metallurgia, meccanica, moda e alimentare) da soli coprono oltre due terzi del totale – spiegano i due responsabili di ricerca Aur, Casavecchia e Tondini - si prefigurano conseguenze fortemente negative sulle esportazioni regionali. Questo anche in considerazione del fatto che la domanda estera di prodotti umbri per i due terzi proviene dagli stati dell’UE28 (la Germania da sola copre quasi un quinto dell’export totale umbro) e per un 10% ciascuno dagli Usa e dal continente asiatico». Ma come invitano a riflettere i due ricercatori, per comprendere le ripercussioni della frenata dell’export, occorre valutare non solo la struttura delle esportazioni, ma anche il grado di apertura del sistema economico regionale. Indicatore che vede l’Umbria non brillare. «Secondo la stima operata da Prometeia, quanto a grado di apertura l’Umbria si piazza all’11° posto (con un valore di 0,46 in una scala da 0 a 1)», spiegano i due dicercatori. «Ma, data la struttura del suo export, sale in 7^ posizione (con 0,67) in termini di sensibilità alle variazioni della domanda estera». Ne deriva un parametro sintetico, l’indice composito di vulnerabilità, che pone il Cuore verde al 13° posto con un indicatore relativamente basso pari a 0,57: prima è l’Emilia-Romagna, con l’indice più elevato (0,84), ultima la Calabria (0,06). «Tale posizionamento – spiegano Casavecchia e Tondini – indica che in fase di recessione l’Umbria risente meno dello shock esterno, avendo una vulnerabilità alle variazioni dell’export più bassa della media, cosa che in prima battuta potrebbe essere letta come un relativo vantaggio. Tuttavia questo dato resta un elemento di debolezza, perché impedisce alla regione di beneficiare appieno del potere propulsivo della domanda estera nelle fasi espansive». Un aspetto legato soprattutto al suo scarso grado di apertura che in presenza di una ripartenza del mercato globale, vedrebbe l’Umbria non agganciare il traino dell’export. «Il cui sottodimensionamento – si rileva dall’Aur - è testimoniato da un’incidenza sul totale nazionale vicina allo 0,9%, molto al di sotto dell’1,3% espressa in termini di Pil». Poco incoraggiante in questo senso anche il trend 2019, negativo e in controtendenza rispetto alle performance nazionali, dopo l’exploit 2018 (+9% delle esportazioni), «ma in un quadro di quasi stazionarietà del Pil».

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