Rugby, aspettando il Sei Nazioni
viaggio tra le grandi vittorie dell'Italia

La meta di Giampiero De Carli alla Scozia nel 2000
di Paolo Ricci Bitti
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Lunedì 13 Gennaio 2014, 19:32 - Ultimo aggiornamento: 20:31

Eh, meno male, cominciavo a preoccuparmi. Quest’anno non aveva ancora chiamato nessuno. Allora, riparte il Sei Nazioni, dico bene?. Dice bene Giampiero De Carli, 43 anni, 32 caps, cervello in fuga nella serie A francese dove allena la mischia del Perpignan e, dalla prossima stagione, tecnico del pack azzurro. In un Torneo costruito nell’arco di tre secoli con il cemento della tradizione, come si fa a non chiamare appunto il romano De Carli per cominciare il viaggio nelle vittorie dell’Italia nel Championship? È lui il protagonista di una strabiliante coincidenza che basterebbe da sola a insaporire il menu dei primi 14 anni azzurri nel Torneo.

LA PRIMA META

Il pilone ha segnato la prima meta dell’Italia nel match d’esordio al Flaminio il 5 febbraio 2000 contro la Scozia campione in carica, ribaltando ogni pronostico. «Il ct Johnstone mi buttò dentro a un quarto d’ora dalla fine, sull’incredibile punteggio di 27-13. A due minuti dal termine sono sulla destra quando Tronky incatena un’altra fase: mi arriva la palla e tra me e la meta ci sono due scozzesi. Sinceramente non mi sono accorto di averli aggrappati al collo quando mi sono tuffato in meta, la meta della sicurezza».

Prima partita degli azzurri e subito un trionfo (34-20), in casa, davanti allo chignon impietrito della principessa Anna, madrina della Scozia. Boom del rugby in Italia? Macché, un disastro, annunciato all’epoca solo per i pochi fedeli dell’ovale che ben conoscevano le salite del Championship guerreggiato, dagli altri, dal 1883. I novellini azzurri perdono tutte le altre partite. E poi tutte quelle del 2001. E poi tutte quelle del 2002. Quattordici ko di seguito, qualcuno meno doloroso, qualcuno amarissimo. Più che al rugby, anche i più fedeli dei fedeli, di fronte a quelle 14 batoste iniziano a ricordare le altrettante stazioni di una via frequentata soprattutto alla vigilia di Pasqua.

Ma non è alla Resurrezione che si pensa entrando al Flaminio il 15 febbraio 2003, un po’ perché la testa è altrove con quei cortei che hanno invaso la Capitale con le bandiere della Pace per dire “no” alla secondo guerra del Golfo, un po’ perché lo stadio è desolatamente vuoto. Peggio: dei 15mila spettatori i gallesi sono in maggioranza (8mila) e tutti vestiti di rosso, mentre è caduto nel vuoto l’invito del ct Kirwan di presentarsi allo stadio indossando l’azzurro. A vuoto, quel giorno, anche la convocazione del pullman della nazionale, finito chissà dove, tanto che gli azzurri raggiungono lo stadio con alcuni minibus recuperati all’ultimo momento. «Del nostro arrivo - ricorda De Carli - non si accorse insomma nessuno. E che tristezza vedere tutti quei posti vuoti sulle tribune».

FLEBILE INNO

Più che il flebile Inno di Mameli, dopo che i gallesi ci hanno al solito sfondato i timpani con la “Terra dei miei padri”, qualcuno intonerebbe il De Profundis. E chi è che segna già al 5’ la meta che invece apre la strada all’ipersorprendente vittoria azzurra (30-22)? Di nuovo “Ciccio” De Carli. Meta De Carli, trasformazione Dominguez, esattamente come nel finale di partita del 2000. La luce alla fine del pozzo tra i Poli.

«Urca, vero, mi sa che non ci avevo mai pensato. Poi per tutto il Torneo chiedemmo di essere portati allo stadio con i minibus. Ma che soddisfazione dare quella vittoria ai tifosi. Sì, parlo dei tifosi perché noi giocatori, per quanto ci crediate e per quanto intristiti dalle 14 sconfitte di fila, eravamo consapevoli della difficoltà di sfidare avversari che avevano due secoli di tradizione in più, ma poi ci rendevamo conto che a forza di ko non si poteva sperare di far crescere la passione per il rugby. Per dirne una, non dimenticherò mai che dopo il banchetto del terzo tempo ci presentammo per festeggiare ancora la vittoria sul Galles in una discoteca di via Veneto: beh, si figuri che ci lasciarono alla porta, compresi i gallesi ai quali davvero non riuscimmo a spiegare il perché. Se penso che adesso invece i locali fanno a gara per ospitare la nazionale. Per questo dico che quel successo nel 2003 dopo tanti ko fu decisivo per riportare i tifosi allo stadio, tanto che adesso...». Adesso?

«Insomma, in pochi anni, e senza tante vittorie, siamo passati dai quei 15mila del Flaminio ai 74mila dell’Olimpico. Meraviglioso. È il Torneo stesso che, hanno capito tutti gli italiani, è imbattibile per fascino e seguito, ancora di più in questi tempi in cui c’è bisogno di qualche ora di serenità».

(1 - continua)

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