Jacobs: «Il mio oro agli Europei è figlio di Roma»

Jacobs: «Il mio oro agli Europei è figlio di Roma»
di Mario Nicoliello
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Lunedì 8 Marzo 2021, 07:30

C’è tanta Roma sul corpo di Marcell Jacobs. «Sul braccio destro ho tatuato il Colosseo e un gladiatore che rappresentano la città che negli ultimi due anni mi ha cambiato la vita. Nella capitale ho trovato una nuova dimensione». Parola del campione d’Europa dei 60 metri al coperto, che dopo aver trascorso una notte insonne («Non ho dormito granché. Era impossibile farlo, per vie delle tante emozioni e della troppa adrenalina») all’alba della domenica ha ricevuto la medaglia d’oro e ascoltato, ovviamente mascherato, l’Inno di Mameli dal gradino più alto del podio di Torun: «Devo ancora realizzare cosa sia successo davvero. Mi ci vorrà del tempo». Con 6”47 Jacobs ha stampato la miglior prestazione mondiale stagionale, il nuovo record italiano e il personale di sei centesimi. Alla base dell’esplosione del ventiseienne delle Fiamme Oro il suo trasferimento a Roma. «Fino ai 19 anni ho vissuto a Desenzano sul Garda, poi sono andato a Gorizia, dove con Paolo Camossi si era creato un gruppo di lunghisti e triplisti. Lì, a parte la pista non avevamo niente, perciò nel 2018 abbiamo deciso di scendere a Roma». 
Come è stato l’approccio con la Capitale? 
«All’inizio avevo paura del cambiamento. Avevo abitato in piccole città e passare in una metropoli mi spaventava. Col tempo ho imparato ad apprezzarla e la mia opinione è cambiata». 
Quali sono i suoi luoghi? 
«La maggior parte della giornata sono all’Acqua Acetosa, dove mi alleno in pista, faccio palestra e massaggi. Il mio staff si è andato pian piano allargando, adesso oltre all’allenatore ho anche un fisioterapista, un nutrizionista, un mental coach e un manager». 
Dove alloggia? 
«All’inizio abitavo in zona Flaminio, vicino Piazza del Popolo. Adesso occupo un appartamento nel quartiere Fleming. Sono a cinque minuti esatti dal campo». 
Vive da solo? 
«No, condivido la vita con la mia compagna Nicole, che nel 2019 mi ha reso padre di un bambino, Anthony, e nel 2020 di una bambina, Megan. A 19 anni ero invece diventato padre di Jeremy, che oggi ha 7 anni e vive a Desenzano del Garda». 
Lei invece è nato in Texas, ma è cresciuto nel Bresciano. 
«Esattamente, sono tornato a 2 anni, quindi di americano ho solo il nome, il colore della pelle e le fibre veloci nel corpo. Ho sempre vissuto in Italia e ho imparato l’inglese da poco. Il dialetto bresciano è stata la mia lingua, ma ora ho aggiunto pure qualche parola in romanesco». 
Fino all’anno scorso era definito un perdente, cosa è cambiato adesso nella sua testa? 
«L’atteggiamento in gara è mutato grazie al supporto del mental coach, che ha lavorato tanto su di me, partendo dalle mie radici. Prima della finale sono stato mezz’ora al telefono con lei. Da quando la frequento è cambiato anche il rapporto con mio papà. Non ci siamo sentiti per tanti anni, lo consideravo un estraneo, quando mi cercava su Facebook non rispondevo. Ultimamente si è ricreato un rapporto». 
Quanto può valere sui 100 metri il suo 6”47 sui 60? 
«L’anno scorso correvo i 60 in 6”63, quindi ho tolto sedici centesimi. Se riuscissi a farlo pure sui 100 al mio crono dell’anno scorso, passerei da 10”10 a 9”94. Bisognerà tenere le stesse frequenze dei 60 per altri quaranta metri». 
Qual è il suo obiettivo per il 2021? 
«Arrivare in finale ai Giochi di Tokyo e poi giocarmi le mie carte. Prima però penso a qualificare alle Olimpiadi anche la 4x100, perciò il mio primo impegno all’aperto sarà il Mondiale di staffette a inizio maggio». 
Filippo Tortu è un amico o un rivale? 
«Entrambe le cose. Mi ha fatto i complimenti e mi ha scritto che ha vinto 100 euro con la mia medaglia d’oro, aveva scommesso su di me. Un buon rivale significa avere tanti stimoli e la rivalità fa bene a noi, ma anche a tutto il movimento dell’atletica, perché ne fa parlare». 
 

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