Braathen, quando lo slalom è in stile Ronaldinho

Braathen, quando lo slalom è in stile Ronaldinho
di Gianluca Cordella
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Martedì 20 Ottobre 2020, 07:30

Brasile e sci. Un abbinamento azzardato, tipo calzini blu con le scarpe nere. Sportivamente parlando, uno degli accostamenti dal maggiore tasso di improbabilità. Inferiore, forse, solo ai giamaicani che si cimentarono con il bob alle Olimpiadi invernali di Calgary 1988. Brasiliano, per metà - l’altra parte è norvegese - è Lucas Braathen-Pinheiro, astro nascente del Circo Bianco e nome da tenere d’occhio, specie dopo la vittoria nel gigante di Soelden che ha inaugurato la stagione di coppa del mondo. Lo sci è il suo sport, quello in cui eccelle, non l’unico con cui si diletta. Vent’anni, social come da prassi per la sua generazione, questo bizzarro incrocio di Dna agli antipodi spazia dallo skate al golf e ai tuffi, con risultati in qualche caso esilaranti che non fanno altro che aumentare like e clic. Ma è quando mette gli sci ai piedi che il classe 2000 fa meraviglie. 

PARTENZA PROMETTENTE
Non a caso l’8 dicembre del 2018, al debutto in coppa del mondo, fu il primo del suo anno a riuscire ad andare a punti in una gara. E che gara: gigante in Val d’Isere, Braathen parte con il pettorale 64, chiude 26°. Un’impresa. Poi ancora una stagione per crescere, qualche caduta di troppo, parecchi piazzamenti che convincono lo squadrone norvegese a puntare su di lui con insistenza. E, infine, per ora, il capolavoro di Soelden di domenica scorsa.

MISCELA FORMIDABILE
Chirurgico nelle discipline tecniche, come i grandi che hanno fatto la storia dello sci norvegese, quello che papà Bjorn ha sempre seguito. Fantasioso nelle traiettorie come i campioni che hanno portato in alto il calcio brasiliano, sport nazionale per chi, come la mamma, ha natali paulisti. «Chi sono i miei modelli? Kjetil André Aamodt e Ronaldinho». Semplice no? Al di là delle varie esibizioni social, infatti, la vera passione del giovane Lucas era proprio il pallone. «Ma da piccolo ero troppo pigro - ha ammesso - Non riuscivo a capire che per diventare il migliore di tutti non bastava andare agli allenamenti».

Fino al faccia a faccia con papà, quello che nella vita dei campioni spesso cambia le sorti. «Perché tutti questi ragazzi sono più bravi di me?», l’ossessione di Lucas. Alla quale Bjorn, che di calcio ne sa meno del giusto, replica buttandola sul culto dell’allenamento. E la teoria fa breccia nel giovane Braathen che inizia a non darsi pace e nel giro di un paio d’anni colma il gap con i compagni più bravi. «Poi, però, non mi andavano giù le sconfitte quando io giocavo bene. Sono stato anche una settimana senza dormire dopo qualche partita persa in modo immeritato». Ed ecco dunque l’inversione a U: basta sport di squadra, torniamo indietro verso qualcosa di individuale. Che si vinca o che si perda, responsabilità proprie e zero scuse. A scuola incontra lo sci e la storia si ripete perché anche qui ci sono coetanei molto più bravi di lui. «Ecco: quei superallenamenti con il pallone mi hanno fatto capire che il calcio non era lo sport per me, ma mi hanno anche educato al lavoro duro per eccellere». 

FUTURO RADIOSO
E Lucas eccelle che è un piacere. Inizia a vincere in Coppa Europa. Nel febbraio 2019, ai Mondiali juniores in Val di Fassa si mette al collo l’argento in Super G e il bronzo in combinata (ma esce nella seconda manche del “suo” gigante per un eccesso di fantasia...). E arrivano anche i piazzamenti nella coppa del mondo dei grandi, suggellati dalla vittoria di Soelden. Con tanto di esultanza gridata nella lingua di mammà. A chiedergli il segreto di quel successo si rischia però di inforcare nella banalità. «Come ho fatto a vincere? Ho solo pensato a scendere il più veloce possibile». Elementare, Braathen. Elementare.
 

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