Giorgio Albertazzi amava la bellezza, come Adriano

di Maurizio Scaparro
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Domenica 29 Maggio 2016, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 13:01
Fino a qualche giorno fa, quando andavo a trovare Giorgio, mi parlava dei progetti che aveva in mente, da realizzare insieme e da solo. Negli ultimissimi giorni, invece, gli era venuta a mancare la curiosità per il futuro, una caratteristica che non lo aveva mai abbandonato e che considero una delle più grandi eredità che questo grande artista e amico mi ha lasciato.

La modernità di Albertazzi è questa, la stessa con cui conquistava i giovani, perché la sua grande dote era nel saper superare la barriera del Tempo e dei tempi: lo dimostrava nell’interpretazione di un grande classico come “Memorie di Adriano”. Diventando il protagonista del testo di Marguerite Yourcenar, che per la prima volta abbiamo messo in scena a Villa Adriana nel 1989, Giorgio è letteralmente diventato l’Imperatore che amava il Bello. Di quella serata, che poi abbiamo replicato non so nemmeno più quante volte e in quanti teatri ma che al debutto realizzò una vera e propria magia, potrei dire che ricordo la paura. Era un progetto incredibilmente ambizioso e rischioso, ma ebbe un successo straordinario, e la reincarnazione di Adriano in Giorgio da quel giorno in poi si è puntualmente verificata, in ogni singola replica. La stessa Yourcenar definì il suo libro “portrait d’une voix”, perché la sua intenzione era di scandire la vita di Adriano attraverso un percorso sottolineato e sedotto dalla Parola. Parola, Voce e Atmosfera: questo era lui.
 
Sarà difficile trovare un altro che sia al tempo stesso attore e testimone di un presente che cambia come cambia il nostro, e in un momento storico in cui l’Europa si riscopre sempre meno la culla della cultura e sempre più la culla delle banche. Rifiutare questa logica era in Giorgio, che in questo senso era altamente politico. Mi ha lasciato un patrimonio di grande fiducia e gioia di fare il nostro mestiere, perché - nonostante la difficoltà che oggettivamente viviamo, come teatranti ma anche come italiani - lui ha sempre creduto nel futuro del Teatro, e ci portava a essere ottimisti in questo senso. Perché come lui stesso dimostrava continuando a cambiare e a trovare nuove forme, il teatro ha sempre momenti nuovi di diffusione.

Sarà difficile trovare un altro che sappia tracciare il percorso che unisce quei chilometri di vuoto inutile tra passato, presente e futuro e sappia pronunciare con la stessa eleganza e con la stessa convinzione quel “c’era una volta” che è la parola magica dell’Essere Teatro. 
Sarà difficile trovare un altro che sappia rendere prodigiosa la Parola pronunciata e ascoltata che è molto di conforto in un momento in cui la ricerca in tutti i campi si istupidisce progressivamente.

Per quanto mi riguarda Adriano inizia e finisce con Giorgio, rimane nella mia memoria e nella meraviglia che porto dentro di quella formidabile prima, che diede a me come regista ma anche come primo spettatore l’irripetibile sensazione di poter viaggiare nel tempo e nello spazio.
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