Shel Shapiro: «I Rokes, quella Roma grigia e la disillusione degli anni '60»

Shel Shapiro: «I Rokes, quella Roma grigia e la disillusione degli anni '60»
di Andrea Andrei
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Lunedì 25 Aprile 2016, 16:40 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 20:53

Negli anni Sessanta cantava “Ma che colpa abbiamo noi?” e la struggente “È la pioggia che va”. Oggi conosce bene sia le sue colpe che i suoi meriti. E la pioggia gli piace ancora da morire, tanto che «diffido di tutti quelli che ne hanno paura». David Norman Shapiro, in arte Shel, con i suoi Rokes è stato uno dei grandi protagonisti degli anni Sessanta in Italia eppure non ama particolarmente parlare di quel periodo. Non solo perché, dopo quel decennio che l'ha consacrato al successo, non si è mai fermato e ha continuato a suonare, a produrre e a recitare. Ma anche perché non smette di ripetere che tutto era «molto più semplice di quello che si pensa. Non avevamo la percezione che stesse succedendo chissà cosa. Ci volevamo solo divertire».

Ed è proprio per quel motivo, per divertimento, che è arrivato in Italia. «Con i Rokes suonavamo ad Amburgo. Siamo arrivati per caso in Italia e in poco tempo ci siamo trovati al numero uno in classifica. A quel punto perché saremmo dovuti andarcene? Avevamo il sogno di suonare, non ci interessava mica dove». Anche se l'impatto con l'Italia, e con la Capitale in particolare, non fu proprio entusiasmante: «Quando arrivammo qui, Roma era una città grigia. Ancora si usava vestirsi a lutto per mesi e sembrava che tutti fossero vestiti di nero», racconta seduto al tavolo della sala da tè più inglese di Roma. Sorseggia un tè nero con latte e tanto zucchero, fregandosene del rituale che prevede di berlo puro: «In Inghilterra ci ritrovavamo nei locali in piena notte, e c'erano solo musicisti e camionisti. Tutti bevevamo il tè così, perché serviva a tenerci svegli e a tirare fino alla mattina».

È così, Shel Shapiro. La fisicità, che rispecchia in tutto e per tutto le sue origini ungheresi, è ancora imponente nonostante i 72 anni di età. Lo spirito è ancora quello di un tempo, solo che adesso è molto più saggio e maturo di allora. Ciò non vuol dire che i ricordi non siano limpidi. Infatti racconta di quella volta che «eravamo a Matera e c'erano degli operai che di prima mattina facevano un rumore terribile con un trapano e poi, quando hanno smesso, abbiamo sentito che stavano fischiettando una canzone nostra. Mio Dio che bello. Me lo ricordo ancora oggi, e sono passati cinquant'anni».
In quei cinquant'anni Shapiro ha continuato a fare concerti, ha fatto il produttore per artisti del calibro di Rino Gaetano, Patti Pravo, Mia Martini, Ornella Vanoni e tanti altri, e si è anche dedicato al teatro. Ultimamente ha interpretato Caifa in “Jesus Christ Superstar” al Sistina, con Ted Neeley. E continua, oggi come allora, a essere impegnato sui temi sociali e politici. Anche se ormai le battaglie degli anni '60 sono solo un lontano ricordo: «Mi pare che il desiderio di lottare si sia addormentato un po'. È rimasto tutto nella mente e nei ricordi. La gente vuole ricordare cose belle, e quelli erano momenti belli, in cui la gente aveva coraggio e voleva cambiare il mondo.
Poi alla fine non è che abbiamo cambiato molto». E sorride tristemente, proprio come recita il testo di “È la pioggia che va”. Sapendo che alla fine, comunque, il sereno torna sempre.

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