Riccardo Muti: «La magia di Mozart tra eros e disincanto»

Riccardo Muti: «La magia di Mozart tra eros e disincanto»
di Simona Antonucci
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Domenica 25 Novembre 2018, 13:15 - Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 20:22


Mozart e Da Ponte, nascosti dietro le quinte. In sala l'imperatore e dame. I cantanti sul palco a mettere in scena amori, tradimenti, intrecci cinici e passionali. «Me li immagino quei due, accomunati da genialità e desiderio, quanto si divertissero a sfidare un certo pubblico e a spiare sorrisi, sorprese, disorientamento». Riccardo Muti, il Maestro, incontra per la quinta volta Così fan tutte di Mozart. Nello spettacolo che inaugura la stagione del San Carlo di Napoli, dove mancava dal 1984. Dirige l'Orchestra e il Coro del lirico («un piacere lavorare con musicisti di ottimo livello», dice durante l'intervallo delle prove) e i cantanti Maria Bengtsson, Paola Gardina, Alessio Arduini, Pavel Kolgatin, Emmanuelle De Negri e Marco Filippo Romano. Chiara Muti, figlia del Maestro, firma la regia. Repliche fino al 2 dicembre.
 

 

Un capolavoro, Così fan tutte, che le riserva ancora delle sorprese?
«Nel corso di questi anni lo studio e la frequentazione della produzione sinfonica e lirica mozartiana, accompagnata dal lavoro sui testi della grande tradizione musicale della scuola napoletana settecentesca, mi consentono di rileggere i grandi capolavori, come questo Così fan tutte, con una rinnovata attenzione e fedeltà al dettato originale. Inoltre anche l'esperienza accumulata col passare degli anni mi aiuta a comprendere e forse a condividere quel distacco, quella melanconia, quel disincanto, amaro e dolce nel contempo, che contrappuntano il testo di Mozart e Da Ponte».

Ha ripreso in mano la partitura e ha scoperto...
«Una ricchezza inesauribile nello straordinario libretto di Da Ponte, che, oltre a far propria la grande tradizione poetica da Ariosto a Metastasio, gioca con fine ironia tra doppi sensi connotati da un forte erotismo. E poi c'è Mozart, che sa musicare la parola poetica come nessuno. Trattandosi di un soggetto legato al topos letterario della prova di fedeltà, frequente è l'uso del termine costanza. Ma Konstanze era anche il nome della moglie di Mozart. Il musicista tratta sempre con una particolare attenzione questa parola. Rileggendo l'autografo, di cui a casa posseggo una copia in facsimile, ho notato come nel duetto prima del finale secondo, tra Fiordiligi e Ferrando, duetto in cui la più severa delle sorelle comincia a manifestare dei cedimenti nei confronti delle insistenze del giovane militare albanese, il libretto di Da Ponte faceva cantare ad entrambi: a che omai la mia/sua costanza () incomincia a vacillar. Mozart nell'autografo cancella l'aggettivo sua nei versi di Ferrando, modificandolo con mia. Sembra una piccola variante, in realtà è un particolare ricchissimo di significato. Può essere un delicato ricordo della sua Konstanze, che durante la composizione del Così fan tutte, gravemente ammalata si era recata per la cura a Baden; è forse un rimprovero per la sua stessa condotta nei confronti della moglie, ma è anche un'indicazione che può riguardare il significato dell'opera. E se Ferrando non stesse recitando quando corteggia Fiordiligi, ma anche lui si stesse innamorando della sorella di Dorabella?».

La fedeltà è un tema su cui gioca molto. 
«Mozart, prendendo lo spunto dalle vicende di due coppie inesperte e un po' arroganti come lo sono i giovani, ci offre una riflessione disincantata sul tema erotico. Non dimentichiamo la seconda parte del titolo Così fan tutte, o sia la scuola degli amanti. La partenza di Ferrando e Guglielmo è la chiave di volta, è l'inizio di un viaggio che porterà alla disillusione, allo smascheramento di un modo di intendere l'amore, ma forse Mozart più che parlarci di fedeltà, senza falsi moralismi, e qui sta la sua grandezza eternamente attuale, ci dimostra come imperscrutabile sia il sentimento amoroso, e come la fiducia più che la fedeltà fra gli amanti sia la parola più importante. Da qui forse nasce quell'incomprensione dei suoi contemporanei per quest'opera che si affermerà nel suo valore solo nel corso del Novecento».

La nostra morale ci consente di apprezzarlo a fondo?
«Mozart, da grande illuminista, pone con chiarezza una serie di interrogativi, costruisce con rigore quasi geometrico un intreccio narrativo e musicale, ma è anche consapevole che non sempre si può dare una risposta univoca e coerente a tutte le domande. E soprattutto parlando di eros. Ma sa in poche battute di musica, come in quelle della brevissima melodia dell'oboe, sulle parole pronunciate da Fiordiligi, nel duetto già ricordato, hai vinto, fa di me quel che ti par, dar voce allo struggimento, all'ansia, al desiderio che accompagnano la tensione amorosa».

L'amore, motore della creazione lirica.
«Ogni compositore lo può declinare in maniera diversa, anche in ragione delle differenti epoche della storia culturale europea o della sua stessa vicenda esistenziale. Pensiamo al Verdi alle soglie della maturità e al fuoco di passione tra Riccardo e Amelia, ne Il ballo in maschera, che porterà il governatore di Boston a tradire quei sentimenti di lealtà e di amicizia che lo legavano al suo segretario Renato, marito della donna. O al Verdi ormai anziano del Falstaff, dove Sir John con nostalgia crede di vivere la sua ultima estate di San Martino. In Mozart, morto a soli 35 anni, la riflessione sull'amore ha una dimensione filosofica, metafisica».

La regia affidata a sua figlia.
«Chiara è molto brava. È cresciuta ascoltando la lirica. E si è formata con Strehler e Ronconi. Affronta i capolavori, interpretandoli con assoluto rispetto. E questo lavoro ha un impianto moderno, interessante. Io la ricordo bambina che sgambettava in teatro mentre provavamo le opere. Ora le conosce tutte a memoria».

Progetti?

«Uno dei progetti che mi sta più a cuore è l'Accademia sull'opera italiana che terrò anche a Tokyo per i prossimi 3 anni. Abbiamo avuto già 140 domande di ammissione».

Il suo lavoro sui cantanti, durante le prove è leggendario.
«Ho incontrato grandissimi interpreti come Renata Scotto, Luciano Pavarotti, Cesare Siepi e molti altri. Oggi le nuove generazioni di cantanti chiedono di lavorare con maggiore cura dei dettagli e di provare musicalmente con più intensità. Il che aumenta la responsabilità dei direttori d'orchestra».
 

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