Pezzali: «Sono inadeguato e me ne vanto»
l'ex leader degli 883 pubblica la sua autobiografia

Pezzali: «Sono inadeguato e me ne vanto» l'ex leader degli 883 pubblica la sua autobiografia
di Marco Molendini
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Giovedì 10 Ottobre 2013, 23:39 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 13:58

Tra la moto e il mito. La storia di Max Pezzali ha coordinate semplici. Quando debutt assieme all'amico Mauro Repetto, sono passati venti anni, scelse un modello della Harley Davidson, la 883.

Ora che ha scritto un'autobiografia, il titolo su cui ha puntato è "I cowboy non cambiano mai", evidente richiamo al mito dei miti, quello americano (anche la Harley , americana). «Io sono un cowboy che non molla, so che la vita è piena di difficoltà e che quando vieni disarcionato devi risalire in sella» ribatte Max. Solito cappellino calato in testa è venuto a visitarci al Messaggero con la scorta di questo suo libro, pronto a raccontarsi con la franchezza da pavese che ama il sole di Roma («Qui vivono mia moglie e mio figlio» spiega).

Max, a 46 anni, non è presto per fare un'autobiografia?

«Sarebbe presto, ma oggi un anno ne vale sette. Raccontare la mia era pretecnologica è come raccontare un'era geologica fa».

Ripercorrere la propria vita significa fare punto e a capo?

«No, è un punto e virgola, io sono più evoluzionista che rivoluzionario. E' raccontare una storia che dimostra che anche le persone normali possono trovare la loro dimensione in un mondo complicato come quello della musica».

È una storia che affonda in un mondo mitologico preciso.

«Mi sono formato su un mondo immaginario che mi è arrivato dal cinema, dal fumetto, appunto, magari dalla letteratura, un mondo che non parla dell'America reale. Anche "Hanno ucciso l'uomo ragno" è espressione di quella cultura».

È anche la storia di un ragazzo inadeguato, come dice la canzone dell'ultimo album? «L'inadeguatezza l'ho vissuta fino a una certa età come incapacità di integrarmi in un mondo troppo competitivo, dove contava solo primeggiare. Oggi, invece, la vivo come una dote: essere inadeguati rispetto ai valori del nostro tempo, in qualche modo, permette di avere una visione prospettica migliore».

Tutto è cominciato in quel curioso clan che ruotava attorno a Claudio Cecchetto. C'è un segreto?

«La costante consapevolezza di dover crescere e imparare ogni giorno. Cecchetto ci ha insegnato a rispettare lo spettatore, a mettersi prima nei suoi panni».

Oggi è ipotizzabile un rilancio degli 883 con Mauro Repetto?

«Già, oggi qualsasi reunion è consentita. Con Mauro abbiamo recuperato un ottimo rapporto umano. Ma lui fa un altro mestiere, vive a Parigi, è sposato con figli, fa una vita molto diversa da quella del cantante. Rischierebbe di essere un po' patetico ritrovarci sul palco. Ma, chissà, fare qualcos'altro potrebbe essere divertente, in fondo abbiamo collaborato per due canzoni del mio ultimo album».

Nel libro si racconta della vostra frustrazione, la prima volta a Sanremo. Ci tornerebbe?

«Non credo, per ora. Il festival mi piace da spettatore, dall'interno è traumatico. È una bolla che dura una settimana: ti intervistano tutti, dal giornale di taglio e cucito alla grande testata, poi, dal lunedì, non esisti più».

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