Manuel Agnelli e i 30 anni degli Afterhours: «Cantare in italiano? Un'esigenza»

Gli Afterhours
di Simona Orlando
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 26 Luglio 2017, 08:38 - Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 19:04
La strada per festeggiare i 30 anni degli Afterhours, giovedì al Rock in Roma (a Capannelle, ore 21) e avanti per 15 date, non passa per la tv, ma per la naia, la noia, la voglia di libertà e liberazione, pantaloni rossi tigrati, furgoni da caricare e scaricare dopo i concerti in posti fetidi, poco attrezzati, inventati di sana pianta. Per Manuel Agnelli quel 45 giri in inglese intitolato My Bit Boy era già un traguardo nel 1987, senza immaginare gli 11 dischi a seguire, collaborazioni da Mina agli Afghan Whigs, concerti all'estero, cambi di formazione continui e la rilevanza mantenuta nel rock nostrano. In scaletta 34 pezzi, due ore e mezza di concerto per i fan storici e i nuovi, tra i 15 e i 20 anni, che dal vivo non hanno mai ascoltato brani come Strategie, Rapace, Ossigeno, Voglio una pelle splendida.

Manuel, che ricordi ha del primo contratto?
«L'atmosfera eroica, giornate di sole in viaggio verso ovest, da Milano a Torino, destinazione Toast Records, indipendente fra le indipendenti. Tramonti verso il far west, una trasferta gloriosa perché uscivamo dal nostro territorio. Eravamo ragazzini che non si aspettavano niente e forse è stato il segreto per durare così a lungo: essere sfacciati fuori e per niente arroganti dentro».

Non è un tipo nostalgico, ma qualcosa di allora le manca?
«Mi manca la curiosità di quel pubblico che andava a cercare cose sconosciute. La scoperta era un valore. Adesso sembra che non si muova se non è sicuro di quello che troverà. Mi manca quella attitudine ad essere unici, a non somigliare a nessuno. Per carità, ci sono ragazzi bravissimi ma fotocopie. Anche nei talent vedo che ricalcano le loro influenze senza rielaborarle più di tanto. Molti usano l'inglese, invece per me trovare una chiave in italiano rende ogni progetto più personale».

Niente che la entusiasmi?
«È tutto aperto e interessante, però non rivoluzionario. C'è il mezzo, che è il web, e una overdose di proposte, ma non c'è chi dà la direzione, un compito in passato affidato a fanzine e radio. Forse l'unico movimento nuovo è la musica trap, però involontario, inconsapevole. Le cose più interessanti le sento nel pop. Penso a LP e Lana Del Rey, produzioni e soluzioni sonore fresche, mentre il rock è conservatore, revival. Mi fa simpatia e niente più».

A Roma l'ospite speciale è Giorgio Prette, ex batterista e storico membro del gruppo. Il ricongiungimento è stato semplice?
«Direi naturale. Abbiamo condiviso 25 anni, sarebbe stato strano non averlo accanto».

Dopo tornerà a X Factor, categoria band. Quali novità?
«Voglio che diventi un programma musicale che va in tv, non un programma tv che parla di musica. La giuria è già una sterzata, con Levante che non arriva dal mondo mainstream».

Com'è stato l'incontro con Mara Maionchi?
«Sorprendente. Inizialmente c'era grande diffidenza perché sembravamo agli opposti: per lei se non vendi dischi non sei nessuno, per me le vendite dei dischi non contano. Invece abbiamo scoperto che nessuno dei due ha i paraocchi. Mi ha colpito in positivo, ha molta umanità, il suo settore lo conosce e sa riconoscere un talento. Poi ha la distorsione da discografica, cioè se quel talento non sa collocarlo, le interessa meno. Non è così per me».

Spenti i riflettori della scorsa edizione, ha continuato a seguire i suoi ragazzi?
«Sì, si stanno facendo le ossa da musicisti, e hanno diritto ad essere tali anche se non riempiono stadi o scalano classifiche. Il talent è solo un potenziatore, un supercannone, non ha la responsabilità del dopo. È un falso problema il fatto che poi i concorrenti scompaiono, la storia della musica è piena di meteore. La tv è solo una strada, là fuori ne esistono altre da seguire».

In quel paese reale che gli After hanno abitato?
«Sì e nel 2018 rientriamo in studio per raccontarlo. È importante scrivere quando hai cose da dire e dedicarci tempo. Non cambierò metodo solo per sfruttare la visibilità spaziale che ho adesso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA