Lucchesini a Santa Cecilia: «Schumann è il compositore romantico per antonomasia»

Il pianista Andrea Lucchesini
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Sabato 26 Ottobre 2019, 18:39
L'eccellenza romantica di Robert Schumann, dai brani fortemente influenzati dalla letteratura alla Fantasia op. 17, considerato il suo capolavoro, che l'autore stesso in una lettera alla sua amata Clara confessò di aver scritto nel modo più appassionato pensando a lei.

Il pianista Andrea Lucchesini apre lunedì 28 ottobre con un recital interamente dedicato al compositore tedesco la Stagione da Camera dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. «Schumann è il compositore romantico per antonomasia - dice il musicista toscano -. Sono felice di presentare brani per me significativi e fondamentali che ho affrontato nel corso di questi anni».

In programma Papillons op. 2, suite per pianoforte composta tra il 1829 e il 1832, composta da dodici pezzi più un'introduzione, ispirata al capitolo finale di Flegeljahre, uno dei romanzi più famosi di Jean Paul. La prima parte si chiude con Carnaval op. 9, scritta nel 1835 per Ernestine von Fricken di cui Schumann era innamorato, composta da 22 pezzi. Dopo le Tre Romanze op. 28, composte prima del matrimonio con Clara Wieck, la chiusura è affidata alla Fantasia, nata nel 1836 per commemorare Beethoven e, osserva Lucchesini, occasione per l'autore di confrontarsi con la figura gigantesca del genio di Bonn, venerato e rispettato per le sue Sonate.

Andrea Lucchesini, 54 anni, accademico di Santa Cecilia dal 2008 e considerato tra gli interpreti romantici più importanti della scena internazionale, torna sul palcoscenico dell'Auditorium Parco della Musica dopo un intervallo di due anni.

A Santa Cecilia ha esordito 30 anni fa con Chopin e, appunto, Carnaval di Schumann. «Il pubblico italiano ha un ascolto più istintivo, entusiasta e partecipe - dice - la nostra natura ci aiuta molto. Nei paesi anglosassoni l'ascolto è più consapevole e ragionato, il pubblico arriva più preparato».

Il pianista, che nei prossimi mesi sarà impegnato in tournèe in Sudamerica e negli Stati Uniti, dedica grande impegno anche all'insegnamento. «Il livello dei giovani è cresciuto tantissimo - spiega - e anche dal punto di vista geografico la musica si è globalizza. Prima l'Oriente non c'era, ora non solo ci sono cinesi e giapponesi ma sono tra i più bravi e preparati».

L'asticella da cui si parte, osserva, si è però alzata enormemente. «Emergere è molto più difficile - chi ci riesce non è solo per la bravura ma perché ha una personalità straordinaria». Anche l'insegnamento è cambiato decisamente. «Io ho cominciato a sei anni e ho avuto la fortuna di avere l'insegnante dei miei sogni, Maria Tipo, grandissima e conosciutissima, con la quale sono rimasto sempre. Oggi i giovani pianisti si muovono come in un supermarket, a 13 -14 anni girano per masterclass con questo o quell'insegnante. Alla fine manca una guida unica che faccia crescere il ragazzo».

A questo si aggiunge la fine delle scuole nazionali. «Una volta la formazione e la provenienza di un musicista si avvertiva, ogni scuola era riconoscibile.
Oggi non è più così». 
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