Cristiano De Andrè canta il padre “Faber” a modo suo: «Contaminato con la world music»

Cristiano De Andrè
di Rita Vecchio
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Lunedì 2 Ottobre 2017, 22:09 - Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 17:42
De Andrè figlio, atto terzo. Scrollatosi di dosso definitivamente «i fantasmi», a cinquantacinque anni «soddisfatto della vita», Cristiano si affida all’arte e alla musica per uscire fuori «dall’oscurantismo» e si auspica un «nuovo Rinascimento dell’umanità». Nasce sotto questa veste “De André canta De André Vol. III” (in uscita il prossimo 6 ottobre).

Un disco live che non è semplicemente l’interpretazione dei brani di un repertorio conosciuto, ma quello di un polistrumentista che di musica se ne intende e che fa “suoi” i brani del padre, cantandoli esaltando i testi e con un vero e proprio minimalismo musicale: «Ho contaminato Mauro Pagani con la world music, usando l’elettrica e l’elettronica». Un disco “all’antica” («Alla vecchia maniera sì, ma moderno»), “chitarristico” e il «più rock, il più espressivo e il più politico di tutti», come lo definisce lui stesso, mentre emoziona con voce e chitarra nel mini live improvvisato alla presentazione dell’album, in duo acustico con Osvaldo Di Dio (insieme nel tour).

Un album contro la guerra, contro i poteri forti, contro i depistaggi psicologici. «Ho preso le parole e la coerenza di mio padre per raccontare la voglia di verità intesa come utopia». Il “Rinascimento” si attua «con i contributi di ognuno di noi», dice. «Siamo anestetizzati da una globalizzazione che ha uniformato il pensiero». Fa digressioni sulla stampa che sarebbe «”venduta”, perché non libera di esprimersi come dovrebbe», sulla sinistra politica «che non esiste più», sulla scuola e sugli insegnanti «che dovrebbero essere più pagati perché fautori del pensiero libero».  

E, come il Faber, «voglio risvegliare le coscienze. Noi cantanti portiamo un messaggio e in questo non posso che appoggiare mio padre». 

È un Cristiano De Andrè che dice di essere «tornato a vedere bellezza e alla contemplazione delle cose». Non a caso ha lasciato Milano per trasferirsi a vivere in Sardegna, nella casa «tra natura e mare» lasciatogli dal padre e dove ha abitato con i suoi dal 1968 al ‘74. Ed è a questi ricordi che dedica le parole del booklet che sanno di versi poetici («Voglio vivere così, nelle spume degli angeli, tra le infinite cadute delle stelle, nella casa che mi hai costruito, dove abita il tuo profumo. Voglio vivere ancora vent’anni nel calore del tuo abbraccio, nel maestrale, fra gli alberi e le foglie»). 

I brani scelti vanno da “Canzone del maggio”, rivolta a Carlo Giuliani, manifestante ucciso nel 2001 durante i fatti del G8 di Genova a “Canzone per l’estate”, mai eseguita da Fabrizio De Andrè, a “Una storia sbagliata” dedicata a Pier Paolo Pasolini. Dal tema della Chiesa e Bibbia nel “Testamento di Tito”, allo sterminio in “Coda del Lupo”; dall’estremismo de “Il Bombarolo” a “Sinàn Capudàn Pascià”, agli scempi italiani in “Dolcenera”; al capolavoro de “La guerra di Piero”, ad “Amore che vieni amore che vai”, fino ad arrivare alla voglia di cambiamento di “Volta la carta” che chiude l’album. 

E se in merito al film sul padre di prossima uscita si tiene ben lontano («Non ho sposato questa idea di Dori Ghezzi, storia troppo delicata per farne una fiction», dice), si prepara invece al tour e alle altre pubblicazioni. Suonerà a Roma il 14 ottobre al Teatro Olimpico con il repertorio dei precedenti Vol. I e Vol II di "De Andrè canta De Andrè" e con assaggi dei nuovi pezzi che saranno inseriti nel Vol. 4 (2018): «Sarà una grande sorpresa. Avrò l’orchestra sinfonica e il trombettista Markus Stockhausen (figlio del compositore Karlheinz Stockhausen, ndr)». Per Natale, un cofanetto triplo; in preparazione, un nuovo disco in studio di inediti (previsto per il 2019) arrangiati probabilmente dal grande chitarrista e produttore Daniel Lanois. E l’idea di un riarrangiamento di “Storia di un impiegato” per festeggiare i cinquant’anni dalla sua uscita. 
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