L'inquietudine di Guttuso tra fede e realtà

L'inquietudine di Guttuso tra fede e realtà
di Alessandra Spinelli
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Sabato 10 Settembre 2016, 16:04 - Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 20:59
«Il nodo è la Crocifissione». Lo ripete Fabio Carapezza Guttuso mentre illustra la mostra Guttuso: Inquietudine di un realismo, 28 opere di ispirazione religiosa, inaugurata ieri dal presidente Mattarella al Quirinale. Un nodo esistenziale per il maestro di Bagheria che la dipinse tra il 1940-41 - la morte del padre, la guerra- e un nodo artistico che si scioglierà trent'anni dopo. Quando, grazie a Davide Maria Turoldo e soprattutto a monsignor Macchi, segretario di Papa Montini, si avrà il riavvicinamento intellettuale con le gerarchie ecclesiastiche e la riabilitazione della sua opera.

Racconta Carapezza Guttuso, che da presidente degli Archivi Guttuso della mostra è il curatore insieme a monsignor Crispino Valenziano, presidente dell'Accademia teologica via pulchritudinis: «Guttuso dipinse la Crocifissione in un anno e mezzo, nei bozzetti si vedono i ripensamenti, il quadro venne presentato il 6 settembre del'42 al Premio Bergamo. L'effetto fu dirompente: ecclesiastici autorevoli, giudicandola blasfema, proibirono ai chierici di guardare l'opera, pena la sospensione a divinis. Fu escluso anche da Biennale e Quadriennale».

A scandalizzare non era solo la composizione del quadro, con le tre croci assemblate e non accostate, ma soprattutto le nudità delle pie donne. In particolare quella centrale, erroneamente la Maddalena, ritratta quasi a bere il sangue dal costato di Cristo. «Comunista, senza fede... Che luoghi comuni - sottolinea monsignor Venanzio che frequentò Guttuso dopo averlo incaricato di illustrare una parte dell'Evangeliario delle Chiese d'Italia - Per capire Guttuso abbiamo trovato un libro nella biblioteca del Padre, Le concordanze bibliche. Ed ecco che si svela tutto e posso leggere Guttuso. E leggo che quella donna, secondo la lettura tipologica della liturgia, è l'umanità alla Festa del Sacro Cuore. San Bonaventura scrive: Tu mio popolo, tu mia diletta, sei nuda. Nessuno scandalo».

Il nodo sciolto, la chiave religiosa per apprezzare tutte le altre opere della mostra. A cominciare da Spes contra Spem (titolo suggerito da Trombadori dalla Lettera di San Paolo ai Romani) dove il nudo di schiena di Marta Marzotto è il vertice prospettico del quadro, ma i due curatori non ne fanno cenno, sottolineando la complessità dell'opera, piena di simbologia e personaggi come Vittorini, il pittore stesso e la moglie Mimise e il pescatore Rocco, il quadro rosso, i mostri della villa Palagonia a Bagheria, l'antenna, il teschio e l'uovo, la tartaruga e la bambina che corre con il garofano in mano. «Nessuna censura - risponde Fabio Carapezza Guttuso - quando lui voleva far vedere la Marzotto la faceva vedere eccome, qui il messaggio forte è il corpo femminile che dà speranza».

Le opere volutamente non sono in ordine cronologico. Ci sono il Colosseo che Paolo Vi definì ossario e graticola; Il legno della croce con i realistici tronchi di cedro, ulivo, cipresso e noce; la Mano del Crocefisso, potente eco del Cristo della Crocefissione di Grunewald a Colmar; il Pane e l'Atelier dove Guttuso ritrae tre volte se stesso. Tragicamente moderni appaiono L'esodo di arabi con il drammatico bianco e nero, e La fuga in Egitto. Il suo anelito religioso si ritrova nella rivoluzionaria Conversione di San Paolo con i quattro cavalli dei cavalieri dell'Apocalisse e nel rappresentare Cristo di profilo nell'Entrata a Gerusalemme dell'Evangelario dove ai lati compaio le mani del pittore. E infine nell'incompiuta Crocifissione. «Tutti maestri - chiosa monsignor Valenziano - hanno lasciato incompleta una crocefissione. Michelangelo docet».