Serena Dandini e il suo nuovo libro: «Ecco la mia Parigi ironica e folle»

Serena Dandini e il suo nuovo libro: «Ecco la mia Parigi ironica e folle»
di Giorgio Biferali
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Martedì 29 Novembre 2016, 09:59 - Ultimo aggiornamento: 1 Dicembre, 18:26
Con Serena Dandini abbiamo imparato a ridere. Basta nominarla e viene fuori un mondo a colori, pieno di studenti somari, schedine impazzite, imitazioni geniali, divani comodi e liberi dai salotti snob, dove l'ironia è come una lente per guardare le cose, per capirle davvero, rendendole più leggere. Ha appena pubblicato Avremo sempre Parigi. Passeggiate sentimentali in disordine alfabetico (pp. 432, 20 euro), un dizionario sentimentale dalla A alla Z, a metà tra i frammenti amorosi di Barthes e le mezzanotti dolci e inaspettate di Woody Allen.

Quand'è nata l'idea di questo dizionario sentimentale?
«Frequentando questa bellissima città. Passeggiavo, scoprivo, leggevo la biografia di Balzac, anche se all'inizio tenevo tutto per me. I voli low cost, poi, facilitavano le gitarelle a Parigi con gli amici. Mi hanno chiesto di scriverne, e io pensavo: a chi potrebbe interessare? Poi con una città come Parigi, cui hanno dedicato così tanti libri che ci si potrebbe costruire un'altra Tour Eiffel. Alla fine ho ceduto alla tentazione, anche perché così avevo la scusa di tornarci più spesso. Dopo i fatti del Bataclan mi ero un po' fermata, mi sembrava strano in quel momento scrivere un libro sulla joie de vivre a Parigi, ma poi ho visto che alle celebrazioni delle vittime, in mezzo ai lumini, c'erano anche le copie di Festa mobile di Hemingway, mi sono accorta della loro reazione, della voglia di affidarsi proprio a quella joie de vivre per andare avanti, per me è stato un corto circuito fortissimo, ho capito che era giusto scrivere un libro così».

Arrondissement, Bistrot, Canali, Impressionisti, Librerie, Verne, per ogni lettera una voce che racconta Parigi, con il gusto della divagazione tipico del viaggiatore.
«Alcune voci rimandano all'immaginario comune, altre sono frutto della follia. Sono partita dalle storie che amavo e poi ne ho scoperte tante altre. Per esempio mi affascinava molto la storia di Verne, che da ragazzino era salito su una barca che andava in India, che doveva fare l'avvocato, aveva detto ai genitori che andava a Parigi a studiare Giurisprudenza quando in realtà voleva fare tutt'altro. E mi piaceva anche l'idea del suo romanzo più conosciuto come metafora di Parigi, perché davvero ti basta girarla qualche ora per fare il giro del mondo».

Forse l'unico modo per scoprire ancora qualcosa di nuovo in città così consumate dallo sguardo, come Roma e Parigi, è perdersi.
«Assolutamente, e qui torniamo al grande Benjamin, uno dei santi protettori di questo libro. La flânerie, questo camminare immersi nella folla sconosciuta, respirando la città. Anche se si è sempre parlato di flâneur e mai di flâneuse, come se la passeggiatrice dovesse essere per forza una poco di buono. Questo libro è dedicato a tutte quelle donne che ancora oggi non posso passeggiare liberamente per strada».

Uscendo un po' dal libro e da Parigi, secondo te, sarebbe possibile oggi fare programmi come Avanzi, Tunnel, L'ottavo nano?
«Sarebbe molto difficile, la tivù ormai è il reame dei format. Appena qualcuno ha un'idea, ti chiedono che format è?. Per me non è facile adeguarmi, ma non è per una questione di snobismo, molti dei miei programmi li ho capiti dopo che sono andati in onda. Pensa se qualcuno ci avesse chiesto: che format è L'ottavo nano?. Per fortuna a quei tempi c'era un altro matto come noi, Carlo Freccero, che ci lasciava molta libertà. Questi uomini qui, come Freccero, Guglielmi, del fate un po' quello che volete fare, purtroppo non ci sono più».

Quindi non c'è speranza di rivedere L'ottavo nano o un altro programma in tivù insieme a Guzzanti?
«Mai dire mai, anche se nessuno di noi ha voglia di rifare quello che ha già fatto così bene, entrambi abbiamo questa malattia della sperimentazione. Con Corrado siamo amici del cuore, è il primo a cui ho mandato il libro, lui è un genio, è il numero uno».

È stato un anno particolare, tra attentati, alcuni grandi che se ne sono andati, la Brexit, le elezioni americane, e tra pochi giorni si vota per il referendum.
«Sono passata diverse volte da una sponda all'altra, molti interventi per il No mi stanno convincendo a votare Sì, e viceversa. Ci vuole uno stomaco forte per andare oltre questa tifoseria da stadio che spesso diventa ridicola, sono più sobria io quando tifo la Roma. Mi prendo il mio tempo, anche se non penso che cambi molto, che vinca il Sì o il No. È una cosa che a Roma chiamerebbero accecaburini, come se tutta la nostra vita dipendesse dall'esito di questo referendum».

Visto che hai nominato la Roma, potremmo provare a inventarci un dizionario sentimentale anche per la nostra città.
«Alla T metterei Totti, l'ottavo re di Roma. Alla B Biondo Tevere, ti basta vederlo da un ponte, quando sei circondato dai platani, per rimanere senza parole. Y come Young Pope, in cui c'è un'immagine di Roma, vista dal Vaticano, che è superlativa. M come Marchese del Grillo, dove c'è una Roma piena di allegria, ironia, un invito continuo allo scherzo come nel Marziano di Flaiano. E comunque, con tutti i suoi difetti, le sue magagne, le sue buche, Roma rimane la città più bella del mondo».

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