“Manager di famiglia”, le sfide dei top manager per raggiungere il successo

“Manager di famiglia”, le sfide dei top manager per raggiungere il successo
di Claudia Guasco
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Lunedì 25 Gennaio 2016, 22:38 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 13:24
TORINO - Solo il 25% delle aziende italiane è guidato da imprenditori sotto i cinquant'anni, eppure appena il 30% di loro affronta il problema in anticipo. Ovvero: chi guiderà la società quando il fondatore farà un passo indietro? Il momento prima o poi arriva, ed è una scelta tanto pesante quanto decisiva per il futuro. Meglio un manager o i figli nei posti di comando? «E' una delle decisioni più complicate che si trova a dover compiere un imprenditore, spesso la componente emotiva interviene offuscando quella razionale», afferma Fabio Gallia, ad di Cdp. Una regola assoluta non esiste, ma le esperienze utili sono tante.

E a fornire un distillato delle migliori è il volume «Manager di famiglia», scritto da Bernardo Bertoldi (docente all'Università di Torino) e Fabio Corsico (manager del gruppo Caltagirone) presentato ieri a Torino davanti a una platea di banchieri, imprenditori e manager. Che al fatidico bivio hanno visto infrangersi o implementare fortune. Pesenti e la torinese Pininfarina sono gli ultimi due gruppi italiani finiti in mani estere. L'elenco è lungo, sono 430 le aziende del made in Italy vendute a stranieri. Nonostante ciò le aziende familiari sono sempre la grande ricchezza del nostro Paese: generano 800 miliardi di ricavi, una redditività superiore di due punti alla media e garantiscono occupazione nei periodi di crisi. Spiega Corsico: «Siamo in un momento delicato: l'azienda, che si era riflessa solo nei grandi gruppi industriali, si trova ad affrontare sfide che non riguardano unicamente il modello produttivoma le competenze, che si sono moltiplicate.

Anche gli obblighi aziendali sono più complessi, essendo mutata la struttura del lavoro. Insomma non abbiamo più il classico confronto generazionale padre/figlio oppure nonno/ nipoti, bensì la necessità di saper scegliere i talenti della gestione per individuare con lucidità gli obiettivi». Un po' ciò che è accaduto ai Benetton, come racconta Alessandro, studi ad Harvard e inizio di carriera in Goldman Sachs: «Un percorso atipico per la nostra famiglia, era una sorta di avamposto. Ma il principale nemico è l'autoreferenzialità, pensare che un grande business possa durare per sempre. Il vantaggio competitivo, se non rinnovato, diventa svantaggio. Così siamo passati dalla fase aziendale a quella mangeriale». In Italia però il modello dinasty resiste: la metà dei cda è rappresentata da membri della famiglia ma «spesso si tira a campare, si vivacchia, non ci si quota in Borsa».

L'errore, forse, è all'inizio, quando si spalancano le porte ad eredi impreparati. «Il padre deve dire al figlio: qui in azienda non metteraimai piede, vai pure dove vuoi.
Se poi, sette anni dopo, il figlio è stato un fulmine e ha fatto benissimo, sarà il padre che lo implorerà di tornare», è il consiglio è di Paolo Scaroni, un passato da manager per la famiglia Rocca. In sintesi, come scrive l'economista Gian Maria Gros-Pietro, «ciò che non può mancare al manager è la professionalità, ciò che non può mancare all’imprenditore è il coraggio. La famiglia imprenditoriale può trovare sul mercato tutti i tipi di professionalità, ma non può trovarvi il coraggio. Perciò la prima cura dell’azienda di famiglia deve essere salvaguardare la propria voglia di fare impresa adeguandosi al cambiamento». Se la Disney è sopravvissuta al fondatore Walt, è perché riuscita a passare dai cartoni animati disegnati a mano alla computer grafica. 
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