Garfield è maschio o femmina? L'America si divide sul sesso dei fumetti

Garfield è maschio o femmina? L'America si divide sul sesso dei fumetti
di RIccardo De Palo
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Venerdì 3 Marzo 2017, 11:59 - Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 16:26
Finora, esistevano almeno tre certezze: Garfield è un gatto striato; è pigro; ama divorare ciotole stracolme di lasagne. Ma di che sesso è? Parlare del gender di Garfield, o di qualsiasi altro personaggio dei fumetti o dei cartoon, non è come parlare del sesso degli angeli. Il tema, nell'America di Trump, dei no-gender e dei bagni per trans, è politico. Così, ha fatto scalpore in America l'intervista al suo creatore, Jim Davis, in cui vengono rivelate alcune curiosità sul personaggio: Garfield si chiama Gustav in svedese, Garfield e il suo padrone Jon Arbuckle vivono a Muncie, in Indiana. Poi arriva la frase incriminata: «È molto universale, e, trattandosi di un gatto, non è maschio o femmina, di una particolare razza o nazionalità, giovane o vecchio». Apriti cielo.

IL TWEET
Ad aprire le ostilità, un paio di settimane fa, è stato un americano di nome Virgil - con un passato di troll all'attivo - che su Twitter ha scritto di avere rimesso a posto il canone sull'argomento. E quindi di avere aggiornato la pagina di Wikipedia dedicata al popolare gatto. Genere: nessuno. Il fatto ha creato non poco scompiglio in Rete, con svariati utenti che, da tutto il mondo, cambiavano a piacimento il sesso di Garfield, da un minuto all'altro. Così, si è aperto un dibattito («no, no», direbbe Moretti). Alcuni hanno sostenuto - con rigore filologico - che, se nelle strisce a fumetti il gatto arriva portando un giornale in bocca, e il padrone risponde good boy, non si può certo parlare di un felino di sesso femminile; così come, nel divorare una pianta d'appartamento, Garfield sostiene di essere un ragazzo cattivo.

Alcuni hanno comparato il caso Garfield con quello di Krazy Kat, un altro felino a fumetti - dalla sessualità ambigua - considerato il suo predecessore. Altri hanno proposto di mettere su Wikipedia tre possibili generi: maschio, femmina, nessuno. Poi arriva un'altra dotta citazione. Un veterinario dice chiaramente, in una striscia del 1979: he's too fat, lui è troppo grasso. Interviene, stremato, lo stesso autore, Davis, che interrogato dal Washington Post chiude la discussione: «Garfield è un maschio e ha una fidanzata, Arlene». E, dopo avere cambiato il suo genere per venti volte in due giorni e mezzo, la Rete lo cataloga in tutta fretta come maschio.
Ma Garfield non è certo l'unico personaggio a fumetti dalla sessualità indefinita. Taluni supereroi sono ambigui per definizione, come Robin, il compagno d'avventure di Batman, che in un albo è comparso addirittura in gonnella. Per spazzare via le ambiguità, ed evitare che il personaggio diventasse una icona gay, nel 1956 è apparsa anche una Batwoman. Con un unico scopo: smentire le voci di una love story tra l'uomo pipistrello e il suo aiutante preferito.

MUTANTI
Ci sono poi altri che cambiano sesso (o razza) a piacimento. Sono spuntate versioni femminili di Deadpool e di Captain Marvel; esistono delle Spider-Woman, delle Supergirl. Una volta Stan Lee, il decano del genere, ha voluto lanciare anche una She-Hulk: il suo personaggio diventava una specie di body-builder dalla pelle verde dopo avere subito una trasfusione sbagliata. Sempre per restare tra i supereroi, anche le temibili tartarughe mutanti Ninja non sono al di sopra di ogni sospetto. A un certo punto è comparsa una Venus, stesso aspetto da testuggine dei suoi compagni guerrieri, ma con un fiocco rosa al collo e misure paragonabili all'Afrodite greca.

Altri personaggi dei fumetti sono stati catalogati in un modo o nell'altro, ma il loro tasso di ambiguità resta elevato. è il caso di Tweety, in italiano Titti, il canarino giallo dalla voce bianca che taluni danno per certo che sia maschio. Il caso è ancora più eclatante di quello di Garfield, perché, per non perdere appeal tra i bambini di ogni sesso, il personaggio viene presentato talvolta in un modo talvolta in un altro. Ed esistono bikini a lui (o lei?) dedicati. Un esperto dell'arte dell'ambiguità, Oscar Wilde, liquiderebbe la questione così, prestando la voce alla Warner Bros: «Solo le buone domande meritano risposte».
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