Ma visto da vicino l'austriaco Christoph Waltz è un uomo squisito che non incute alcuna paura, semmai suscita ammirazione: è un grande attore arrivato al successo dopo i 50, perfezionista, poliglotta, elegante, coltissimo, molto riservato. Anche se è stanco di sentirselo ripetere, Waltz, 58 anni, quattro figli e una stella a suo nome fresca fresca sulla Hollywood of Fame di Hollywood, è abbonato ai ruoli di cattivo. Il prossimo, chiamato Oberhauser, sarà l'antagonista di James Bond nel nuovo film della saga 007, Spectre, che si girerà a Roma nelle prossime settimane.
Intanto l'attore, che abbiamo ammirato anche in Carnage di Polanski e The Zero Theorem di Gilliam (ma lo vedremo presto nella commedia americana Come ammazzare il capo 2) dà vita all'ennesimo personaggio spregevole: in Big Eyes, il nuovo e atteso film di Tim Burton (nelle sale il 1° gennaio con Lucky Red dopo l'anteprima al festival Capri-Hollywood) è il pittore americano Walter Keane protagonista negli anni 60 di una clamorosa vicenda artistico-giudiziaria. Conobbe il successo grazie ai suoi quadri che ritraevano bambini dai grandi occhi tristi, ma a dipingerli era in realtà sua moglie Margaret (Amy Adams) che poi decise di divorziare e vinse la causa per plagio dopo un pubblico “duello” con lui a colpi di pennello.
Waltz, che effetto le ha fatto questo marito terribile?
«Terribile, dice? Certo, Keane è un uomo cinico, manipolatore e sfrutta i sentimenti di sua moglie per arricchirsi e diventare famoso. Ma io non lo giudico, come non giudico mai i miei personaggi. Sarebbe una mancanza di rispetto verso gli spettatori: non voglio influenzarli».
Ma qual è il segreto delle sue interpretazioni da Oscar?
«Non può chiedermi di svelare i trucchi del mestiere, rovinerei le emozioni del pubblico. Posso solo dirle che mi impegno al massimo e detesto l'improvvisazione».
Perché i registi le offrono sempre parti da carogna?
«Per me non esistono ruoli di buono o di cattivo. Contano solo i film di qualità. Detesto i pregiudizi e mi preoccupo di fornire la migliore interpretazione possibile».
Che tipo di regista è Tim Burton? Somiglia a Tarantino?
«No, con Quentin non ha nulla in comune. Sono entrambi dei geni ma totalmente diversi. Burton è molto preciso e al tempo stesso visionario. È un artista che sul set non dà ordini ma comunica da artista, facendo trovare agli attori la giusta direzione».
La sua storia è in controdendenza: ha avuto successo all'età in cui molte star affrontano il declino...
«Sfondare dopo i 50 mi ha aiutato a mantenere i piedi per terra e a non farmi travolgere. Lo spettacolo è un affare di famiglia: mio padre è scenografo, mia madre costumista, la nonna era attrice, mia moglie fa la costumista. Altro che privilegi e capricci. Ho imparato presto a non idealizzare il nostro mestiere e a capire invece che richiede serietà, impegno, fatica».
Cosa fa quando non è sul set?
«Cerco di coltivare la mente: leggo, vado al cinema, a teatro. E seguo la lirica, la mia grande passione».
Come decide quali ruoli accettare?
«Devono piacermi la sceneggiatura e il regista, ovviamente. E mi preoccupo che il mio personaggio non somigli a qualcosa che ho già fatto. Adoro le sfide».