Ischia global fest, parata di stelle hollywoodiane e italiane: da Toni Colette a Clive Davis ed Enrico Vanzina

Premiazioni, serate di gala e paparazzate

Ischia global fest, parata di stelle hollywoodiane e italiane: da Toni Colette a Clive Davis ed Enrico Vanzina
di Alessandra Farro
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Domenica 16 Luglio 2023, 13:33 - Ultimo aggiornamento: 17 Luglio, 10:27

«Non c'è più grande fonte di ispirazione dell'isola verde: i sapori, gli odori, i paesaggi, il cibo, la bellezza, la passione, è tutto meraviglioso», dice sorridendo Rob Marshall che ha ricevuto ieri sera un premio nel nome di Luchino durante il gala conclusivo del ventunesimo «Ischia global music & film festival», ideato e diretto da Pascal Vicedomini. L'isola ha colpito tutti, da habituè come Enrico Vanzina e Clive Davis a new entry come Caterina Milicchio, generosissima nelle pose per i paparazzi.

 


Ma torniamo al nostro Marshall, 63 anni, regista che ha fatto ballare e cantare Catherine Zeta Jones, Richard Gere e Renée Zellweger in «Chicago»; reso omaggio a Fellini con «Nine», nel cast Sophia Loren, Marion Cotillard, Penelope Cruz, Nicole Kidman e Kate Hudson; ha fatto indossare ad Emily Blunt un cappello rosso e una mantella blu a righe nere per «Il ritorno di Mary Poppins»; ha rivoluzionato l'immagine della Sirenetta dai capelli rossi scegliendo Halle Bailey per la trasposizione cinematografica.


I premi le fanno ancora impressione, Marshall?


«Sono onorato dell'invito di Vicedomini, erano anni che cercavo di partecipare al festival ed è la prima volta che riesco finalmente ad esserci. Non avrei mai immaginato di ricevere un premio in nome di Luchino Visconti, un regista che adoro e ammiro».
Lei ha già girato due film in Italia, «Nine» a Roma e «La Sirenetta» in Sardegna.
«Adoro l'Italia e il cinema italiano è fondamentale per me, è stato bellissimo lavorare qui.

La passione per il cinema che mettono le maestranze italiane non ha pari. Mi piacerebbe girare qui musical, ma originale, fino ad oggi ho fatto solo riletture».


È stato difficile girare, anche sott'acqua, «La Sirenetta»?


«Quello che mi attrae di più in un progetto è dover fare i conti con le mie paure. Girare questo remake è stata una sfida, proprio in virtù degli scenari acquatici. Sfido me stesso ad ogni progetto, ed è quello che fa anche Ariel: una giovane donna che ha la sensazione di non appartenere a nessun posto e cerca un'altra vita, anche se tutti le dicono che non è possibile. Riesce a superare i suoi limiti, rompe le barriere dei confini e raggiunge culture diverse, quando nessuno lo credeva possibile. Lascia andare via la paura. Dà una grande lezione di vita a tutti, dimostrando che con forza e passione si possono superare i timori e raggiungere i propri obiettivi. Ogni progetto a cui mi dedico diventa parte della mia vita per un tempo molto lungo, quindi, bisogna credere in tutto quello che si fa, per questo ci abbiamo impiegato 3 anni e mezzo a girarlo, anche durante il Covid. Fellini diceva di seguire la pancia, i propri sentimenti. Ci credo fermamente, tanto che, durante le riprese di "Chicago", ho scritto le sue parole sulla macchina da presa per fissarle nella mente. Quando ti scelgono per un lavoro, ti ingaggiano per il tuo gusto, per quello che tu sei ed è quello che devi portare nel film: deve necessariamente trattarsi di un progetto personale, che ti tocca nel profondo».


Com'è stato lavorare con Sophia Loren?


«Un onore, prima di tutto. Nessuno al mondo era adatto per quel ruolo a parte lei. Ho scoperto una donna amorevole e timida, una persona bellissima e coi piedi per terra. Il primo giorno di set, ho percepito il suo nervosismo: era da un po' che non lavorava. Per quella scena sarei dovuto partire con un campo lungo che, pian piano, stringeva sul suo volto, invece, siamo partiti con un primo piano e fuori campo le stringevo la mano. Lei ha sentito il mio affetto e non si è sentita giudicata, è stato un bel momento, di forte condivisione».


Continua lo sciopero di sceneggiatori e attori contro l'abuso dell'intelligenza artificiale in America, lei con chi si schiera?


«Prima c'erano le videocassette, poi i dvd e oggi ci sono le piattaforme. Le cose cambiano, si tratta di business. Bisogna proteggere gli artisti, ma rimanere anche al passo con il progresso, che deve essere gestito in modo equo e giusto per entrambe le parti. Dobbiamo adeguarci ai cambiamenti senza forzare la mano».

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