I social come il Processo di Biscardi: «Sul Web non si lede la reputazione», archiviata la querela dei Ferragnez definiti «palloni gonfiati»

I social come il Processo di Biscardi: «Sul Web non si lede la reputazione», archiviata la querela dei Ferragnez definiti «palloni gonfiati»
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Mercoledì 23 Ottobre 2019, 19:40 - Ultimo aggiornamento: 20:28

La Procura di Roma ha chiesto di archiviare la querela di Fedez contro Daniela Martani, ex pasionaria dell'Alitalia, che aveva definito su Twitter la coppia Fedez e Chiara Ferragni «idioti palloni gonfiati».

Secondo i pm romani, i social non sono autorevoli e godono di una scarsa considerazione, per cui «non sono idonei a ledere la reputazione altrui».

La vicenda ricorda quella di venti anni fa, quando il giornalista e conduttore televisivo Aldo Biscardi (scomparso nel 2017) venne assolto dall'accusa di diffamazione che gli era stata mossa dall'associazione arbitri, presi di mira durante l'imitatissima trasmissione Il Processo del Lunedì, fondata dallo stesso Biscardi e condotta con memorabile piglio e celeberrime raccomandazioni  tipo
«parlate solo due o tre alla volta»

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Il giornalista si difese in tribunale dicendo che 
«il programma aveva come oggetto principale quello di suscitare con linguaggio diretto ed espressioni volutamente forti discussioni, spesso pretestuose, tipiche da bar sport». In altre parole «la credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta come assai bassa, secondo l' opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica». Il giudice concluse: «I toni, la sede e la natura degli interventi depongono per essersi trattata di una tipica discussione da bar finalizzata all'incremento dell'audience attraverso l'uso di toni e contenuti platealmente esagerati». Ricapitolando: al Processo di Biscardi si poteva dire quello che si voleva. Va da sé che agli arbitri l'assoluzione del conduttore non piacque  affatto. E adesso sono i social a trovarsi, secondo la Procura romana, sullo stesso piano di scarsa autorevolezza di quella urlatissima trasmissione.


Un'altra decisione destinata a suscitare commenti contrastanti. «Quello dei pm romani è un punto di vista grave e pericoloso - commenta Ruben Razzante, Docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano, a proposito di quanto riporta il Corriere della sera -  che fa arretrare di 10 anni il diritto dell'informazione. In alcune esemplari sentenze la Corte di Cassazione ha punito casi di diffamazione via social, applicando correttamente l'art.595 c.p., che prevede la lesione dell'onore e della reputazione altrui con altro mezzo di pubblicità diverso dalla stampa. È ormai unanime tra gli studiosi la convinzione che in quella categoria degli altri mezzi di pubblicità possano rientrare siti on line, blog e piattaforme social. Anche queste ultime, quindi, sono idonee a produrre danni reputazionali, che non possono restare impuniti.

In altre sentenze la Cassazione ha altresì sottolineato quanto sia devastante la portata, superiore a quella dei media tradizionali, delle offese lanciate su Facebook, Instagram, Twitter e altri social, considerata l'elevata diffusività dei contenuti su quelle piattaforme e l'impossibilità di cancellarli applicando un problematico quanto irrealistico diritto all'oblio».

Per Razzante, fondatore e curatore di www.dirittodellinformazione.it, «il messaggio che arriva dalla Procura di Roma è fortemente deresponsabilizzante per gli utenti della Rete, che ora potranno considerare il regno virtuale come una zona franca nella quale è tutto lecito. Ma il web non può e non deve diventare una giungla, uno spazio di impunità governato dalla legge della sopraffazione del più forte sul più debole». 



 

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