Studentessa di Padova si ammala di Aids nel laboratorio dell'università: risarcita con 145 mila euro

Il contagio, secondo le ricostruzioni, può essere avvenuto solo in quel laboratorio di Ginevra dove era arrivata per concludere la sua tesi di laurea

Studentessa di Padova si ammala di Aids nel laboratorio dell'università: risarcita con 145 mila euro
di Silvia Quaranta
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Mercoledì 28 Febbraio 2024, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 29 Febbraio, 15:27

PADOVA - L’università di Ginevra dovrà pagarle 145mila euro a titolo di risarcimento danni, e in cambio la ex studentessa dell’università di Padova metterà la parola fine sulla sua battaglia giudiziaria. Si conclude così la disavventura della giovane donna che, nel 2011, è rientrata da un viaggio Erasmus portando in corpo il virus dell’Aids. Il contagio, secondo le ricostruzioni, può essere avvenuto solo in quel laboratorio di Ginevra dove era arrivata per concludere la sua tesi di laurea, pertanto la negligenza è dell’ateneo che la ospitava, che ora dovrà assumersene la responsabilità corrispondendole una cifra che è stata patteggiata nella somma di 145.120,40 euro.

Il contagio

Come sia avvenuto il contagio rimane un mistero: secondo quanto descritto dalla ragazza, infatti, non può essere stato causato da un guanto bucato o da una provetta rotta, o da qualche minuscola escoriazione sulla pelle. Una delle ipotesi avanzate dagli esperti è che possa essere entrato per via aerea, ma nulla di concretamente dimostrabile. Quel che è certo è che il virus che ha attaccato il suo corpo è identico a quelli costruiti in laboratorio, come confermato dalle analisi sulla sequenza genetica. Su questo, lei non ha mai avuto dubbi. I fatti risalgono al 2011: la ragazza, all’epoca studentessa dell’università di Padova, era volata a Ginevra per studiare il virus dell'Hiv: un lavoro che le sarebbe servito per la tesi di laurea, da discutere al suo rientro in città. Gli esperimenti in laboratorio la portano a manipolare parti del virus, ma le viene spiegato che si tratta di pezzi che non possono replicarsi, cosiddetti difettivi. Si tratterebbe, insomma, di test teoricamente senza rischi.

Tutto sembra andare per il meglio: il viaggio Erasmus si conclude e poco dopo la ragazza discute brillantemente la sua tesi di laurea. Il dramma emerge solo a distanza di anni, nel 2019, quasi per caso.

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La scoperta

Era la sera di Santo Stefano: la telefonata arriva dal laboratorio di analisi dove aveva fatto un prelievo, il controllo di rito per poter donare il sangue. La comunicazione è telegrafica e da spezzare il fiato: il test è positivo all’Hiv. La giovane, ormai non più studentessa, è sconvolta. Quella notizia pesa come un macigno sulla sua giovane vita: è una condanna senza scadenza e senza possibilità di appello. Ma una certezza è per lei incrollabile: il contagio è avvenuto a Ginevra, in quel laboratorio, non può esserci altra spiegazione. Inizia così una lunga battaglia legale che coinvolge in prima battuta l’ateneo di Ginevra, e collateralmente anche l’università di Padova e il Ministero dell’Università. Si affida all'avvocato Serpetti, esperto in danni alla persona legati alla sfera sanitaria, e ad uno dei centri di ricerca italiani più evoluti per l'Aids. Viene interessato anche il laboratorio di Virologia dell'Università di Tor Vergata a Roma. Inizia una lunga fase di studio, che dura cinque anni. Al termine i periti mettono nero su bianco ciò che la ragazza aveva sospettato fin dal primo momento: «Il virus che lei ha in corpo è identico a quelli costruiti in laboratorio».

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A confermarlo sono le dettagliate analisi sulla sequenza genetica. La storia ha dell’incredibile e non a caso desta l'attenzione della comunità scientifica: probabilmente, infatti, si tratta del primo caso al mondo di contagio con un virus generato in laboratorio, senza alcun incidente evidente come la rottura di guanti o una puntura. Ieri, in sede di Consiglio di Amministrazione, l’università di Padova ha comunicato che la vicenda giudiziaria volge al termine e che le parti stanno siglando un “accordo di transazione” a cui aderisce anche la stessa università di Padova. Si tratta di un risarcimento patteggiato tra le parti, che servirà a coprire almeno in parte “i danni patrimoniali e non patrimoniali” patiti dalla ragazza e dalla sua famiglia. A breve le carte passeranno al tribunale, dove presumibilmente la causa troverà conclusione.

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