Lo stato di salute dell’ambiente si misura anche dal benessere dei ricci che lo abitano.
Questi piccoli animali con gli aculei sono fra i più grandi indicatori dell’equilibrio del contesto naturale che ci circonda. Parola del dottor Massimo Vacchetta, veterinario, fondatore del Centro Recupero Ricci La Ninna, a Novello, vicino a Cuneo, specializzato nella cura e nella tutela dei ricci. Una realtà di eccellenza italiana: unico centro del genere in Europa, attivo dal 2014, si basa su donazioni private ed è all’avanguardia, completo di ecografo radiologico e macchina per gli esami del sangue. «Qui sono ricoverati in media oltre 150 ricci, e ne recuperiamo fra i 400 e i 500 all’anno. I ricci che ritornano in salute li riportiamo nel loro habitat naturale, quelli disabili li accudiamo nei nostri giardini, con uno staff di dipendenti e volontari», spiega Vacchetta. Il riccio è un animale selvatico insettivoro, non si può tenere in casa, ed è una specie tutelata, a rischio di estinzione. Se si scopre di avere un riccio in giardino, questo può essere fidelizzato, fornendogli acqua e cibo, specialmente in periodi critici, come l’estate o l’inizio dell’autunno, quando si trovano meno insetti. Come consiglia il dottore, «potete dare al riccio cibo per gatti (crocchette o umido di pollo o manzo), preservando in giardino prati con erba alta, che attirano insetti, siepi, arbusti, cespugli o cumuli di foglie. Se fate dei lavori e trovate una cucciolata, ricomponete tutto: c’è il rischio che la mamma abbandoni i piccoli». Quali sono i segnali che dicono che un riccio sta male e va portato in un centro di recupero? «È un animale notturno: il campanello d’allarme scatta se lo vedete fermo di giorno all’aperto, magari circondato da mosche.