Eleonora Daniele conduce “Dottori in corsia”: «Bimbi ricoverati e medici supereroi, racconto la forza di chi lotta»

La docuserie Rai sulle storie dell’ospedale Bambino Gesù: «Mostriamo il difficile lavoro dei reparti. Davanti alle famiglie non si può che provare ammirazione»

Eleonora Daniele
di Valentina Venturi
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Giovedì 12 Ottobre 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 06:46

Documentare il miracolo quotidiano della medicina pediatrica, all’interno del microcosmo di un ospedale, non è scelta da tutti i giorni.

Eppure la nuova stagione di Dottori in corsia – Ospedale pediatrico Bambino Gesù, continua a raccogliere consensi. In onda su Rai 3, la sesta edizione prevede quattro puntate (l’ultima andrà in onda il 16 ottobre) dedicate al racconto della vita in ospedale e della lotta alla malattia, con i drammi e le vittorie dei giovani pazienti. Ogni appuntamento si muove tra le corsie del Bambino Gesù e le case dei giovani protagonisti, indagando gli effetti della malattia nella loro vita quotidiana. Quest’anno la novità è la partecipazione di Eleonora Daniele, giornalista e conduttrice dalla straordinaria sensibilità e con una grande esperienza nello storytelling, che fa da guida nella serie attraverso interviste partecipate ai familiari e allo staff medico.

Eleonora, come sta vivendo questa nuova esperienza professionale?

«Sono cresciuta negli ospedali per quello che ha vissuto mio fratello Luigi (scomparso nel 2015, a cui la giornalista ha dedicato il libro Quando ti guardo negli occhi. La storia di mio fratello Luigi, edito da Mondadori). È quindi un approccio che conosco e conoscevo. Inoltre da anni con il mio programma Storie Italiane mi impegno per il Bambino Gesù, mi occupo di Telethon e in generale ho a cuore i bambini che vivono e soffrono per malattie rare, per cui Dottori in corsia non è qualcosa di estraneo da me o dal mio percorso professionale».

La malattia e la comunicazione: come si riesce a farle coesistere?

«Dico la verità: la storia di una bimba, che è arrivata all’ospedale Bambino Gesù ad appena due anni, dopo aver ingerito una batteria che le ha corroso l’esofago mi ha colpito molto. Nonostante racconti io per prima tutti i giorni storie di cronaca non sempre bellissime, non ho potuto trattenere le lacrime. Mostrando il difficile lavoro che si svolge nei reparti, da neurochirurgia a chirurgia neonatale, da cardiologia a ortopedia, capisci che si deve superare l’inferno.

Davanti a queste famiglie non si può che provare stima e ammirazione. Le mamme giustamente vedono i medici come dei supereroi, come fossero Superman, Batman o l’Uomo Ragno. Sono dei salvatori».

In quanto madre ha mai avuto timori?

«Quando ero incinta lo ammetto ho avuto paura, avendo avuto un parto a 43 anni si possono temere tante cose. Eppure continuavo ad andare in onda, aiutando tante associazioni e mi ricordo che alla fine sono stati loro a darmi forza: poter ascoltare e raccontare è importante».

Quale pensa sia la peculiarità di un programma come “Dottori in corsia”?

«Le storie delle persone, delle famiglie. Dietro alla vicenda di un bambino c’è quella di una mamma e di un papà, realtà italiane. Nella docufiction entri dentro la vita e la quotidianità di queste persone e apprezzi i momenti più belli e più forti, anche nell’attraversare le difficoltà. Vedi queste madri che con forza e con tenacia combattono contro tutto e tutti e ti domandi come facciano ad avere quest’energia incredibile».

Come viene costruita una puntata?

«Sono docufiction con le registrazioni di giorni e mesi di lavoro al fianco dei bambini e dei medici; io sono la voce narrante e la conduttrice, ma penso sia fondamentale il lavoro di squadra. La docuserie di Simona Ercolani e Coralla Ciccolini, prodotta da Stand by me in collaborazione con Rai Fiction, è composta da un’equipe di professionisti in grado di trovare la cifra giusta nel decifrare il dolore e nel dare un segnale di forza e coraggio alle tante persone che possono identificarsi con la malattia o con quella precisa situazione. La capacità della produzione, la struttura autoriale e intellettiva, Bambino Gesù e i medici che si prestano al racconto, sono in grado di inviare al telespettatore questo messaggio e a comunicarlo al meglio, senza che il dolore venga mai strumentalizzato».

Esiste un segreto?

«La condivisone del dolore ma anche l’accompagnamento, la solidarietà, la fratellanza e il ristoro emotivo che si può trovare nell’altro. Sono dei bei messaggi che vengono in aiuto alle tante brutture quotidiane che purtroppo capitano. Si scopre che c’è anche il bello di persone che nonostante tutto trovano il coraggio di andare avanti. Per me raccontarle è una grande opportunità che metto a servizio loro e della tv, in maniera solidale». 

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