Mario Stirpe, pioniere della chirurgia della retina: «Così abbiamo recuperato occhi destinati alla cecità»

La Fondazione Giovanni Battista Bietti per lo studio e la ricerca in Oftalmologia ha festeggiato i suoi primi quarant'anni

Mario Stirpe, pioniere della chirurgia della retina: «Così abbiamo recuperato occhi destinati alla cecità»
di Carla Massi
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Martedì 5 Marzo 2024, 15:18

Quattro le principali linee di ricerca: “Glaucoma e segmento anteriore con annessi oculari”, “Retina medica e chirurgica”, “Oncologia e tossicologia oculare”, “Neurofisiologia della visione e neuroftalmologia”. I quattro pilastri della Fondazione Giovanni Battista Bietti per lo studio e la ricerca in Oftalmologia che ha appena festeggiato i suoi primi quarant'anni. A Roma, al Tempio di Adriano ndurante  il convegno “Ricerca e assistenza sanitaria: quale futuro?”. Nell’84, il professor Mario Stirpe, allievo di Bietti e oggi Presidente della Fondazione, ebbe l’intuizione di creare un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico unico nella sua materia, l’Oftalmologia.


È stata la sua caparbietà a vincere. Tutti le dicevano che sarebbe stato impossibile, vero?
«Sì. Un percorso in salita molto faticoso. Ma, superando mille ostacoli di ogni genere, ce l’abbiamo fatta».


Perché questa idea?
«Nei primi anni’70 mi ero unito, negli Stati Uniti, al gruppo di ricerca che coltivava un’idea comune alla mia su una tecnica chirurgica che avrebbe permesso di recuperare occhi sino ad allora destinati alla cecità. Mi ero accorto della necessità di introdurre anche da noi una chirurgia fino a quel momento ignorata».


E la macchina si mise in moto?
«Organizzai a Roma un imponente congresso, poi il Centro per la cura delle malattie della retina chiesto dalla Regione Lazio sotto la mia direzione e l’apertura gratuita della sala operatoria nella Clinica San Domenico in viale Regina Elena. Sala da me attrezzata per la nuova tecnica chirurgica, la vitrectomia».


Aveva messo in moto una macchina che andava a grande velocità ma non era soddisfatto, giusto?
«Questa situazione si protrasse per tre anni finché, naufragato l’ultimo tentativo di accordo fra la Regione ed il Commissario di Governo, lasciai la direzione del centro. Negli Stati Uniti avevo appreso il sistema delle fondazioni, allora in Italia guardate con molto sospetto perché come mi disse un illustre esponente politico dell’epoca nascevano per sottrarre fondi al fisco».


Eppure, ora, si festeggiano i 40 anni di questo Istituto. Quali erano gli obiettivi allora?
«Portai avanti ugualmente la mia idea e nel 1984 varai la Fondazione, che d’accordo con il mio amico e collega Professor Massimo Bucci dedicammo alla memoria del nostro grande maestro il Professor Giovanni Battista Bietti. Gli obiettivi? Dalla preparazione dei giovani che poi venivano avviati verso le strutture pubbliche, la ricerca, la cura e la prevenzione. Con gli anni siamo riusciti ad aumentare i nostri campi di competenza».


Alla fine degli anni Ottanta vi siete battuti perché anche in Italia fossero permessi i trapianti di cornea. Sembra incredibile visto che, oggi, se ne contano 7 mila l’anno. Un’altra battaglia?
«Secondo la legge allora vigente, l’intervento di trapianto risultava fuori legge.

Le Regioni impegnavano una quantità di fondi per inviare i pazienti presso istituti esteri. E il disagio per i malati era davvero grande».


Come siete riusciti a cambiare la legge? I politici non si lasciavano convincere, vero?
«Anche in questo caso è stata una lotta dura. La Fondazione mise insieme uno schieramento politico guidato dall’allora Ministro del Lavoro Franco Marini e, nel giugno 1992, riuscì ad ottenere un’audizione alla Camera. Io stesso andai e fui costretto a parlare con toni forti per far capire l’importanza di questo tipo di intervento. Due mesi dopo veniva votata la nuova legge che separava l’innesto del tessuto corneale dai trapianti di organo. Successivamente, è stata creata la “Banca degli Occhi” del Lazio presso l’ospedale San Giovanni di Roma».


E proprio in un’ala del San Giovanni a Roma, nell’ospedale Britannico ristrutturato, adesso la Fondazione ha il suo quartier generale aperto al pubblico come si sognava 40 anni fa...
«L’Istituto è stato accreditato dalla Regione Lazio. Coesistono laboratori di ricerca, ambulatori e sale operatorie. Nell’ultimo anno contiamo quasi 73 mila prestazioni ambulatoriali, oltre 3.800 interventi chirurgici, impianti di retina, trapianti di cornea, cataratta. Quello che facciamo è portare la ricerca più avanzata nelle cure di tutti i giorni».


E le liste d’attesa?
«Lavoriamo per un drastico abbattimento anche per le chirurgie più routinarie che purtroppo devono sopportare importanti ritardi ancora oggi».


Dal suo tono, tra il polemico e il rammaricato, si capisce che sarebbe pronto per un’altra battaglia, è solo un’impressione o è realtà?
«Direi con molta amarezza che la Sanità attuale non è più quella di cui ci siamo vantati in passato. Le continue trasformazioni e i disegni per il prossimo futuro lasciano presagire che l’assistenza ospedaliera venga progressivamente limitata alla specialistica salvavita con la consegna di queste ad una sanità convenzionata il cui primo obbiettivo sarà quello di mantenere bilanci positivi. E, ancor peggio, l’intrusione di categorie che già oggi tendono ad assumere compiti impropri».

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