Se il welfare diventa ludico può tradire se stesso

Michele Tiraboschi
di Marco Barbieri
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Mercoledì 14 Febbraio 2018, 16:35 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 17:40
Solo il 30% degli operai chiede misure di welfare "tradizionale" (sanità integrativa o previdenza complementare). La maggioranza, se può scegliere, vuole benefit di consumo: dall'abbonamento a Sky alla palestra. E' il welfare ludico, bellezza. Luca Pesenti, docente alla Cattolica di Milano, ha anticipato qualche dato di una ricerca condotta su 9000 lavoratori coinvolti in piani di welfare aziendale, e sulle loro scelte tra 33 diverse offerte di servizi e prestazioni presenti nei principali "bouquet" proposti in azienda. C'è una differenza di ruolo e di età anagrafica: i dirigenti e i lavoratori più anziani privilegiano il welfare "strettamente inteso" (sanità e previdenza, appunto). I lavoratori esecutivi e gli under 30 scelgono, tra i cosiddetti "flexible benefit", quelli che attengono a un uso più divertente del proprio tempo libero. Aspettiamo i dati definitivi della ricerca, ma certo la mancanza di "finalità sociale" potrebbe rivelarsi un rischio per i piani di welfare aziendale (e contrattuale) che godono dei benefici fiscali introdotti dalle ultime Leggi di Bilancio. L'Agenzia delle Entrate potrebbe farsi più occhiuta, ed eccepire? Forse, ma prima ancora del rischio fiscale potrebbe riaccendersi una polemica politico-ideologica. In verità già emersa tra molti intellettuali vicini alla Cgil, nell'ultimo numero della Rivista di Politiche Sociali, dedicata al tema del welfare contrattuale. Resistenze che sembravano superate dalla stagione dei contratti aziendali con il premio di risultato, o dalla introduzione di misure di welfare contrattate anche a livello nazionale (dal contratto dei metalmeccanici a quello degli orafi). Nuove resistenze dal lato Cgil si manifestano come timore di una "sostituzione" del nuovo welfare con quello pubblico e universalistico, ma sarebbero resistenze ancora comprensibili? "Sono comprensibili nel contesto attuale che ancora spiega, a mio giudizio in modo fuorviante e storicamente non fondato, che il welfare aziendale agisce per arginare la crisi del welfare pubblico. Se così fossero le cose, si può facilmente comprendere il rischio di un welfare a due o tre velocità: grande impresa contro piccola impresa, Nord industrializzato contro le difficoltà del Sud. Noi abbiamo cercato di spiegare invece che la crisi del welfare pubblico nasce dal superamento del modello d'impresa del Novecento industriale e che dunque il welfare aziendale, se bene utilizzato, può fornire un contributo per ripensare l'intero modello sociale verso forme di welfare della persona più in sintonia coi nuovi tempi moderni". Parola di Michele Tiraboschi - già consulente dell'ex ministro Maurizio Sacconi, nonché coordinatore scientifico di Adapt, giuslavorista "erede di Marco Biagi" - in una intervista concessa alla newsletter "Welfare 4.0". Per Tiraboschi la stagione dell'industria 4.0 deve armonizzarsi con un nuovo welfare. D'altronde anche Marco Leonardi - consigliere economico di Palazzo Chigi, fortemente voluto da Matteo Renzi, nonché "padre" della riforma delle Legge di Bilancio 2016 e 2017, che hanno sdoganato le prime forme di welfare aziendale defiscalizzato - sostiene che "il tema della sostituzione con il welfare generale non ha senso" anzi, "abbiamo voluto dare un nuovo ruolo alle parti sociali e alla contrattazione, nazionale e aziendale".
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