Guardarsi negli occhi quando ci si bacia è tempo perso

di Roberto Gervaso
3 Minuti di Lettura
Giovedì 20 Settembre 2018, 09:56
L'incontro fra Scott e Zelda, nell'estate del 1918 a Montgomery, fu casuale. E, come tanti incontri casuali, ebbe sviluppi imprevedibili. Non una beffa del destino, ma, forse una sua scelta, che fornì la trama al primo capitolo di un romanzo che appassionò tutta l'America negli anni più spensierati: quelli ruggenti.
Scott indossava l'uniforme di sottotenente, confezionata su misura da un celebre sarto. N'era fiero, e si vedeva. In divisa si sentiva ancora più importante e più affascinante, ma avrebbe fatto colpo anche senza. Un Apollo irresistibile: i capelli neri, imparzialmente divisi da un riga perfetta, la fronte ampia e luminosa, le sopracciglia nere della stessa intensità e dello stesso colore degli occhi, acuti e mobili. Il naso scolpito con il cesello, le labbra minute, più esangui che sanguigne, il sorriso un po' obliquo di chi invita l'interlocutore a sfidarlo, di chi, sicuro di sé, vuole disarmare colui che gli sta di fronte, più per dimostrare la sua superiorità che per irretirlo e dominarlo.
Anche Zelda abbiamo visto era bella, bellissima. Gli zigomi prominenti facevano risaltare gli occhi profondi e ironici, come la bocca, troppo carica di rossetto, socchiusa ed enigmatica, il naso appuntito e impertinente, la pelle di pesca.

Una maschietta decisa a bruciare le tappe, a farsi amare da chi ama, ma anche da chi non ama, a diventare un personaggio una protagonista del suo tempo, compagna e musa di un uomo che la capisca e la rapisca, trascinandola con sé in quella fabbrica dei sogni, ma anche di chance, che era New York.
Ma Scott non era ancora pronto. Zelda gli piaceva (e a chi non piaceva?), ma non al punto di giocare con lei la grande partita del cuore e della vita, di chiederla in moglie. Lo intrigava, e un po' lo sconcertava quel suo modo di fare, o di non fare, capriccioso e temerario, quel suo civettare, fino a metterlo in imbarazzo, con chi le parlava o l'ascoltava. O, forse, temeva di non essere corrisposto, o di non esserlo abbastanza. Se lei gli avesse detto di no o, peggio, lo avesse preso in giro? Se gli si fosse concessa, e poi negata? Se ne avesse fatto prima il suo uomo, poi il suo ostaggio o, peggio, il suo zimbello? Quale smacco per l'immenso e permaloso orgoglio di Scott?

Lui partì; poi, tornò. La scintilla divenne fiamma e il fuoco si accese e si consumò a letto. Lei, secondo la biografa Jeffrey Mayers, non era più vergine, da almeno quattro anni, e se non prese l'iniziativa, non la scoraggiò. Lui ne fu insieme contrariato e lusingato. Contrariato perché nessuna schermaglia aveva preceduto l'amplesso. Zelda si era buttata fra le sue braccia istintivamente e impetuosamente. L'aveva voluto e non s'era pentita. Lusingato perché Zelda non era una maschietta qualunque: era la più avvenente, corteggiata ragazza di Montgomery. Non solo: pendeva dalle sue labbra e lo colmava di attenzioni. Era sempre con lui. Per le strade lo esibiva come un trofeo e se ne mostrava fiera e gelosa. Guai se qualche amica gli ammiccava o gli sorrideva e guai se lui rispondeva a sguardi. Zelda, di Fitzgerald non era più invaghita: era in piena estasi amorosa. Al suo fianco, si sentiva felice. Lontano da lui, infelicissima, lo sognava a occhi aperti.

gervasodanotte@gmail.com
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA