Com'è difficile, a volte, credere in ciò in cui abbiamo sempre creduto

di Roberto Gervaso
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Mercoledì 18 Luglio 2018, 09:06
Se il Seicento fu il secolo di Luigi XIV, il Settecento fu quello di Voltaire, nessuna mente, nessuno spirito ha rappresentato meglio di lui quest'epoca viva e scintillante. Nel XVIII secolo la borghesia si risvegliò e Voltaire fu un ricco borghese. In questo secolo si svilupparono le scienze naturali, e Voltaire studiò, fu curioso di ogni scienza.

Il Settecento fu il secolo in cui le istituzioni religiose, monarchiche, aristocratiche subirono una trasformazione completa. E Voltaire fu un grande riformatore. Difese con spirito inviolato le nuove dottrine. Chi meglio di lui, in uno stile più limpido con più verve espose le idee dei suoi tempi?

Tanto basta a giustificare sua gloria letteraria e politica, rendendolo immensamente popolare, amato ed esacrato in egual misura. In Francia, in Europa, in occidente. Fu il più brillante falice e felice di una stagione irripetibile, di un secolo straordinario. Una sintesi, questa, di André Maurois, biografo di superba eccellenza, da noi entusiasticamente condivisa.

Il Padre dei lumi si chiamava François-Marie Arouet e Voltaire era l'anagramma. Figlio di un notaio e di una casalinga, vide la luce a Parigi. Se l'anno è sicuro, incerto sono il mese e il giorno. Secondo alcuni il 20 febbraio; secondo altri, il 21 novembre.

Ebbe l'educazione del suo rango. Rampollo di stirpe borghese, se non godeva degli agi e dei privilegi di un patrizio, le chance sociali non gli mancavano. Studiò presso i gesuiti, che conquistò con la vivace prontezza dell'ingegno e scandalizzò (nei limiti in cui i seguaci di sant'Ignazio possano scandalizzare) con l'impertinente anticonformismo. I suoi maestri, sui santi, sui dogmi, sulle Sacre Scritture non transigevano, ma i confessori e confidenti di sovrani e di principi, più che credere in Dio, credevano nel potere, tartufescamente esercitato in suo nome.

I genitori erano buoi cattolici e forse proprio per questo François Maria non perdeva occasione per scorbacchiare con malcelata e sempre arguta irriverenze eroi ed eroine del Vecchio e del Nuovo Testamento (chi osò mai scrivere che Dio aveva ordinato al profeta Ezechiele di spalmare il pane con sterco e assaporare con devozione la bizzarra delikatessen?). Battute che colpivano nel segno con icastica perfidia.
La deliziosa insolenza di Voltaire contro i miti biblici e i tabù ecclesiastici cominciò sui banchi di scuola, nutrito di Orazio, Virgilio, Tacito, Giovenale, ma anche di Platone, Aristotele, Tucidide, Plutarco, amante della poesia e della storia, della filosofia, dell'astronomia, della matematica e della fisica, conclusi gli studi, decise il suo destino.

Il padre lo avrebbe voluto notaio ma il giovane François-Maria mai ne avrebbe calcato le uggiose orme. Detestava compromesse, rogiti, mappe catastali. Onorevole alternativa, la carriera diplomatica: Paggio, e segretario dell'ambasciatore francese all'aia.

Correva l'anno 1713, e la capitale era la città più noiosa d'Europa (un pò lo è rimasta). A renderla più attraente fu il folle invaghimento di François-Maria della figlia di Madame Dunoyer, Olimpia, che egli ribattezzerà al Pimpette. Un colpo di fulmine, non scevro di contrasti. Innanzitutto perché Madame Dunoyer non godeva di una buona fama; un pò perché Olimpia era protestante e il governo olandese non vedeva di buon occhio le conversioni alla fede cattolica, apostolica, romana, come, forse, non le vedeva di buon occhio il suo spasimante, allergico a ogni imposizione, ma anche a ogni suggestione fideistica.

Era già allergico a ogni intolleranza, già respirava a pieni polmoni, in una mano la spada, nell'altra la penna, quella libertà che tutti i pensatori dovrebbero predicare e praticare e che esclude e condanna ogni discriminazione, e mettendo sotto processo e alla berlina fanatici e demagoghi, peste dell'umanità conformista e pusillanime.
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