E il romanesco diventa lingua della paura

di Mario Ajello
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Sabato 21 Novembre 2015, 12:45 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 00:40
"È stata e continuerà ad essere una lunga notte".

@VocidiPalazzo



Oggi in Francia domani in Italia. La lingua della paura parla così. L'eco delle bombe e dei colpi terroristici di Parigi proietta immediatamente Roma, la città del Giubileo, l'Urbe che si sentiva protetta dalla propria maestà, nell'occhio del ciclone di quella che Papa Francesco chiama, non a torto, «la terza guerra mondiale combattuta a pezzetti».

Finora, quaggiù, ci si baloccava tra un motto, uno sfottò e una raffica di battute fataliste a proposito della minaccia jihadista. Del tipo. Arriva l'Isis a Roma? Je scateno contro mi' socera e quelli se danno subito, piagnucolando. I califfi stanno per sbarcare nella Capitale? Appena vedono il raccordo anulare intasato, se ne tornano indietro al volo e senza farsi troppe domande. Stanno arrivando le barbe tagliagola? Pazienza, mejo loro de li laziali. E via così.

L'impossibilità dell'evento - quello della barbarie che irrompe tra di noi - ha prodotto nell'immaginario collettivo immagini paradossali e satiriche come i fotomontaggi della bandiera nera dell'Isis sventolante sul Colosseo o della scimitarra piazzata in cima al Cupolone.

Mamma li turchi: c'era chi ironizzava così in faccia a coloro che provavano timidamente a lanciare qualche allarme sulla guerra che impazza nel mondo e che avrebbe potuto riguardare anche noi. Poi di botto, in queste ore, nella Roma che aspetta l'Anno Santo, si è smesso di sorridere.



mario.ajello@ilmessaggero.it