Roma, ndrangheta, i pm chiudono l'indagine sulla prima locale criminale della Capitale: rischio processo per 67 indagati

Notificato il 415bis anche ai boss Alvaro e Carzo dopo l’inchiesta della Dda della capitale

Roma, ndrangheta, i pm chiudono l'indagine sulla prima locale criminale della Capitale: rischio processo per 67 indagati
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Venerdì 3 Febbraio 2023, 16:05 - Ultimo aggiornamento: 19:17

'Ndrangheta a Roma - La Procura capitolina ha chiuso le indagini sulla maxi inchiesta "Propaggine" della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma contro la prima "locale" di 'ndrangheta nella Capitale. A rischiare il processo, dopo la notifica del 415bis, 67 indagati tra i quali i due boss che secondo quanto ricostruito dalle indagini erano al vertice dell'organizzazione criminale, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, appartenenti a storiche famiglie di 'ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria.

'Ndragheta a Roma, i pm chiudono le indagini: una sfilza di accuse

Nell'inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la 'ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.

La 'locale' operava a Roma dal 2015 dopo avere ottenuto l'investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. «Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto», dicevano in un'intercettazione gli indagati. E nelle conversazioni riportate nell'ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: «c'è una Procura... qua a Roma ... era tutta ...la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino»…«e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri ...Cosoleto ... Sinopoli... tutta la famiglia nostra...maledetti».

A Carzo, nell'avviso di conclusione delle indagini, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, viene contestato il ruolo di promotore, avendo ricevuto dall'organo collegiale di vertice ' la Provincià l'autorizzazione alla costituzione della locale di Roma, e quello di direzione insieme a Vincenzo Alvaro. In particolare Alvaro, secondo gli inquirenti, è capo di una 'costola' del sodalizio composta, tra gli altri, da cognati, nipoti, e altri soggetti, così come Antonio Carzo che ne capeggia un'altra insieme a due figli.

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