Roma, la favela a due passi da San Pietro: il dormitorio degli invisibili nel traffico della Rampa Sangallo

Roma, la favela a due passi da San Pietro: il dormitorio degli invisibili nel traffico della Rampa Sangallo
di Elena Panarella
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Sabato 29 Ottobre 2016, 08:38 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 08:48


L'Hotel-Roma in questi giorni è tutto esaurito. I portoni storici sono occupati. E anche i ponti, i viadotti, persino i buchi dove entra appena un giaciglio vengono subito presi di mira. Un posto prezioso per tanti: profughi, immigrati, sfrattati, poveri, sbandati. Arrivano la sera in punta di piedi, trascinandosi dietro pesanti fardelli. Cartoni, coperte, buste di plastica stracolme di abiti, carrelli pieni di tutto. È l'esercito dei disperati, sbandati, affamati, emarginati dalla società nascosti negli angoli attorno a San Pietro. Alle pendici del Gianicolo, e a ridosso di via Gregorio VII, sotto la Rampa del Sangallo, in un corridoio di trecento metri, largo un metro e mezzo, hanno ricreato un dormitorio sotto le stelle. Sgomberato e rioccupato negli anni decine di volte. Le macchine sfrecciato a tutta velocità accanto a quei fantasmi nascosti tra i cartoni.

L'ACCAMPAMENTO
E così basta scavalcare una ringhiera, o semplicemente salire il muretto per scoprire un altro mondo. Distesi uno accanto all'altro decine di uomini a una distanza massima di trenta, quaranta centimetri, restano immobili fino alla mattina successiva. Su un tubo hanno sistemato tutti i loro effetti personali: lamette, spazzolini, pettini, sigarette, bagnoschiuma, scatole di crema. Eccoli questi invisibili, che poi tanto invisibili non sono: c'è chi si fa la barba guardandosi dentro uno specchietto rotto di un motorino, chi si lava alla fontanella, chi con l'acqua raccolta in una tanica di plastica prepara qualcosa da mangiare, chi invece rovista tra i rifiuti per trovare altri tesori. Alcuni dormono. Nel senso che non soffrono d'insonnia, vivono per strada ma senza stress. Sono abituati a essere ignorati e a ignorare a loro volta chi li sfiora. Altri non dormono. Nel senso che non dormono mai. Neanche quando li vedi stesi sui cartoni. Hanno gli occhi chiusi ma fanno finta. Si assopiscono solo quando fa giorno, quando nessuno può derubarli. Perché nessuno più dei poveri ha paura di diventare ancora più povero, di perdere quel poco che ha: i documenti, la tessera della mensa, il braccialetto, la foto che hanno stretto sul cuore, quasi fosse un secondo cuore. «Queste persone sono povere veramente altrimenti non vivrebbero in queste condizioni - si lascia scappare Marianna Carvone, 24 anni, in visita alla basilica, con alcune amiche - Salgono e scendono dagli autobus affollati carichi di sacchi pieni di cose e si sistemano dove possono. Certo trovarli qui attorno a San Pietro fa un certo effetto».

EMARGINATI
Sono davvero tanti i senza fissa dimora che (soprav)vivono a Roma. Certo, in questo caso le statistiche ballano molto e dicono poco. Basta cambiare nome (emarginati, profughi, senzatetto, poveri) o contare anche l'esercito degli extracomunitari che la cerchia dei disperati si allarga e si restringe come un elastico. Uomini, donne, bambini. Ma anche pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese con quattro, cinquecento euro: un popolo di disperati, tollerati quanto più capaci di rendersi invisibili. Storie diverse, ma con un filo comune a tenerle insieme: sono persone che non hanno più una casa. E allora non rimane che la strada. In centro (sotto i ponti, lungo gli argini del Tevere) vivono in tanti. Italiani, romeni, moldavi «non importa da quale Paese arrivano, perché la povertà non ha nazionalità», commenta una giovane spagnola in vacanza a Roma.

elena.panarella@ilmessaggero.it