Roma, neonato morì soffocato dal cordone: «Poteva salvarsi». A giudizio medico e ostetrica

Roma, neonato morì soffocato dal cordone: «Poteva salvarsi». A giudizio medico e ostetrica
di Marco Carta
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Domenica 4 Marzo 2018, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 20:18
Era nato soffocato dal proprio cordone ombelicale. Ma Gabriele poteva essere salvato facendo fare un parto cesareo alla madre, se le sue condizioni cliniche non fossero state sottovalutate dai sanitari dell'ospedale Villa San Pietro. Un ginecologo e un'ostetrica che ora, a distanza di sette anni dai fatti, per quella tragedia, si ritrovano sotto processo per concorso in omicidio colposo. Secondo l'accusa, rappresentata in aula dal vice procuratore Gabriella Chiusolo, entrambi avrebbero agito con «negligenza, imperizia ed imprudenza», nonostante la situazione critica del cordone ombelicale del feto fosse nota già dal mese precedente. La madre del piccolo era stata ricoverata il 28 settembre del 2011 in seguito alla rottura del sacco amniotico. Ma quando alle 22 e 40 del giorno successivo le condizioni del feto si aggravano, invece di intervenire tempestivamente con un parto cesareo, i due provano a farlo nascere con la ventosa ostetrica (o vacuum extractor), lo strumento utilizzato per assistere la nascita di un feto quando esistono ostacoli alla sua progressione spontanea.

LA RICOSTRUZIONE
Ostacoli che, a giudizio degli inquirenti, non potevano e non dovevano essere ignorati, come ribadito anche dai consulenti di parte ascoltati nel corso dell'udienza di giovedì scorso di fronte al giudice monocratico. Secondo la ricostruzione dei periti, infatti, a quell'ora il cordone ombelicale aveva già avvolto il collo in maniera decisiva. Ma l'ostetrica avrebbe «omesso di sorvegliare e segnalare - si legge nel capo di imputazione - elementi significativi di sofferenza ipossica fetale emergenti dal tracciato cardiotografico». Una crisi respiratoria che sarà letale per il piccolo che, dopo la nascita avvenuta intorno alla mezzanotte e mezza, morirà per «un'insufficienza cardiocircolatoria insorta terminalmente ad uno stato di severa ipossia intrauterina». Gabriele per la procura poteva essere salvato. Ma il ginecologo, entrato in sala parto intorno alla mezzanotte, invece di «valutare il rischio e di predisporre ed eseguire tempestivamente un intervento di parto cesareo», decise di espletare «un parto naturale con applicazione di vacuum exctractor per mancata progressione della parte presentata». In questo modo, però, «aggravando le conseguenze del giro serrato di funicolo intorno al collo e nodo vero di cordone, cagionavano la morte di Gabriele». Che, non appena nato, viene subito trasferito al reparto rianimazione dell'ospedale Bambino Gesù. Quando ormai non c'è più nulla da fare.
 
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