CONCORRENZA SCARDINATA
Per capire come il giro dei bengalesi sia riuscito a monopolizzare la rete dei minimarket basta sapere che per aprire questo tipo di esercizi commerciali – classificati come “negozi di vicinato” - è sufficiente una dichiarazione di inizio attività da mandare via fax al Comune. Solo il municipio a quel punto potrebbe decidere di opporsi entro 60 giorni, ma è rarissimo perché la decisione va suffraga da motivazioni tangibili. Una volta ottenuta la licenza il gioco è fatto: le serrande sempre alzate garantiscono un afflusso continuo di clienti, specialmente nelle ore notturne o nei giorni festivi, quando tutti gli altri negozi rimangono chiusi. È così che la concorrenza viene scardinata. Perché i minimarket bangla rimangono aperti sempre, 24 ore su 24, e non c'è giorno di festa che tenga.
LAVORO NERO
Non è un'unica organizzazione a gestire il business, sono gruppi di media grandezza. Una rete che sfrutta lavoratori quasi sempre sotto pagati, spesso senza contratto, ridotti a passare la notte all’interno dei negozi per garantire l’orario full time. Le multe non spaventano chi amministra gli affari. Vengono messe in conto quando l’attività viene aperta. «Anche perchè i controlli sono troppo pochi – denuncia Fabio Spada, presidente dell’associazione dei pubblici esercizi di Confcommercio – Anche nel caso in cui, magari una volta ogni tre mesi, i titolari dei negozi vengono sanzionati con una multa di 5mila euro, è sempre una perdita infinitesimale rispetto ai milioni che girano attorno a questo settore». Secondo Franco Gioacchini, vicepresidente di Confcommercio, il giro d'affari dei negozi bengalesi muove oltre 350 milioni di euro l'anno. «Per questo – chiede l'organizzazione dei commercianti – bisogna potenziare tutti gli accertamenti di polizia municipale e forze dell'ordine. Tutte le attività con lavoratori in nero vanno rilevate e punite e serve intransigenza anche per chi vende bibite alcoliche ben oltre i limiti stabiliti dalla legge».
I RICAVI
Perchè il vero business dei negozi bangla è l'alcol. Oltre il 60% dell’incasso, secondo i calcoli di Confcommercio, deriva dalle bottiglie vendute di notte, quasi sempre nei quartieri della movida, molto al di fuori degli orari consentiti. «Qualsiasi strategia, a livello comunale, per contrastare l'abuso di alcol deve passare per verifiche serrate. Altrimenti è tutto inutile», protestano i residenti. Dall'inizio dell’anno i Carabinieri hanno chiuso oltre 20 esercizi bengalesi, di cui 15 solo tra Trastevere, San Lorenzo e Pigneto. È la spia di un’illegalità diffusa più volte segnalata da chi queste zone le vive ogni giorno. «Questi negozi arrivano a vendere alcol fino alle 4 o 5 di notte», denunciano dell'Associazione degli abitanti del Centro storico. Anche se a oggi il divieto di vendita di prodotti da asporto scatta alla mezzanotte, mentre il termine ultimo per la somministrazione di alcolici è fissato alle 3. Ma i negozi della movida non si fanno problemi. Lo spiegano bene da uno dei comitati di quartiere di San Lorenzo, «Via Ausoni dice basta»: «A mezzanotte i gestori dei locali abbassano la serranda solo a metà. In genere lasciano qualcuno sull’uscio, pronto a chiuderla del tutto in caso di controlli. Nel frattempo, sotto la saracinesca, continua il solito via vai di clienti». E continuano gli affari d’oro.
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