Morta al Forlanini, la mamma di Sarah: «A uccidere la mia bambina una dose comprata da un afgano»

Morta al Forlanini, la mamma di Sarah: «A uccidere la mia bambina una dose comprata da un afgano»
di Raffaella Troili
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Mercoledì 15 Giugno 2016, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 08:19
Valla a cercare una figlia per un anno. Fatti l’Aurelia, lasciati Santa Severa alle spalle, supera Furbara, Fregene, Aranova e poi vai a Termini, nei giardini del Pigneto, al Forlanini, a denunciarne la scomparsa in tutte le caserme della zona. 

Katia Neri non sa quando ha sbagliato. Affacciata in finestra, in un casolare a ridosso dell’Aurelia, ha gli occhi di chi si era già arresa all’inferno. Le ha provate davvero tutte? 
«Scappava sempre, l’ho cercata per un anno, quando mi sono accorta che il problema era serio, quando mi ha detto “mamma ti devo dire una cosa”. Diceva: “così mi sento accettata” eppure era tanto bella, se lo scriveva pure da sola: Sarah la meglio, e si vestiva da principessa...».

Ma scappava a drogarsi
«Ho provato a salvarla, ho lasciato il lavoro per stare appresso a lei, l’ho portata al Sert, eravamo tutti convinti che si potesse riprendere, ringrazio Marisa l’assistente sociale che ci ha provato con tutto il cuore. Ma chiusa non ci sapeva stare, stavo giorni interi a cercarla, ora forse starà in pace».

Ha capito troppo tardi, come succede spesso
«Lo vede, vivo qui, in un casello, il treno ci entra dentro casa, lo scriva pure, eppure ai miei figli non facevo mancare niente, lo dicono tutti, la scuola, le Nike, le scarpe da 300 euro, il giubbetto da 600. Forse dovevo dire più no. Lei apriva bocca e io compravo. Forse ho sbagliato».

Un’unione la vostra, simile a quella che c’è tra amiche
«Avevamo un anello uguale, il simbolo dell’infinito perché Sara diceva: staremo sempre insieme e il nostro amore è infinito. Conosceva le debolezze del mio passato, il nostro era un legame profondo».

I padiglioni del Forlanini sono stati sgomberati
«Ma credo che la morte di mia figlia non sarà né la prima né l’ultima».

Chi le ha dato la dose fatale?
«Un afghano credo, ma lì ci sono di tutte le razze, spero che paghi, si vedeva che aveva 16 anni ma come fai a dare la droga a una ragazzina? Era un angelo, era tutta la vita mia». 
 
E le voci, che si prostituisse, che volesse morire?
«Se l’avesse vista capirebbe, voleva vivere, era candida, furba perché sapeva dove nascondersi e come ottenere quello che voleva, ma candida. E poi mi ha rubato tutto dentro casa: pc, telefonino, soldi...». 

Un rapporto stretto che i servizi sociali hanno voluto interrompere. 
«Sapeva quando stavo male anche a 200 chilometri di distanza, dicevano che avevamo un rapporto troppo simbiotico, che non era maturata, doveva aprire le ali, farsi la sua vita, quando è andata via gridava, voleva restare a casa, però era provvisorio, doveva tenere duro. La verità è che può parlare solo chi ci è passato, solo chi ha conosciuto il dolore. Ora vorrei stare solo con lei, non la vedrò crescere, non la vedrò con i figli. Bisognava conoscerla: aveva incontrato la droga ma era di sani principi». 

Dove l’ha incontrata la droga? «A Roma. A scuola ha solo conosciuto le persone che l’hanno portata a Roma, al Forlanini, in quello che dovrebbe essere un ospedale e invece è tutto tranne che un ospedale. E’ in mano agli spacciatori, uno schifo, lì si muore. Tutti sapevano: “Che sei venuta a cercà tua figlia? mi chiedeva la polizia. Sono dimagrita 37 chili in un anno per cercarla, ma non si voleva suicidare, Sarah voleva vivere, aveva solo preso la strada sbagliata. Era allegra, simpatica, affettuosa, faceva ridere tutti. Faceva casini, poi mi scriveva lettere d’amore». 

Dopo l’ultima fuga, l’assistente sociale l’aveva convinta per la comunità, a Perugia, l’unica disposta ad accoglierla. 
«Andava e veniva, all’inizio credevamo che scappasse per stare in giro non per la droga. Poi è iniziato l’inferno, le continue denunce di scomparsa, le fughe. Era uno spirito libero Sara».

Un mese lontane, poi la ricerca disperata e vana. 
«Quando l’ho trovata sembrava dormisse, aveva ancora il sole negli occhi». 
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