Attacco Iran a Israele, al Ghetto di Roma dopo il raid: «Paura che agisca un folle»

Ieri vertice d’urgenza sulla sicurezza. Giannini: «Vigilanza al massimo livello»

Il ghetto di Roma
di Camilla Mozzetti e Federica Pozzi
4 Minuti di Lettura
Lunedì 15 Aprile 2024, 07:00

Una domenica di sole e caldo, quella di ieri, al centro di Roma, le vie del ghetto ebraico piene di turisti, nulla che faccia pensare a sentimenti di paura, di rabbia. Eppure c’è chi, la notte precedente, l’ha passata con il pensiero a parenti e amici che si trovano in Israele, da poche ore uscito dall’attacco missilistico iraniano. «Cerchiamo di lavorare per distrarci, per non pensare», dice una commerciante di via del Portico d’Ottavia scuotendo la testa, «sono state ore lunghissime in attesa di notizie dai nostri parenti». «Una notte di veglia», l’ha definita Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, che in Israele ha figli e genitori. «Ci sentiamo protetti ma il folle può sempre esserci», dicono i residenti.

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IL VERTICE

Intanto ieri mattina in Prefettura si è tenuto un ultimo Comitato per l’ordine e la sicurezza. «Un incontro per testare - ha spiegato il prefetto Lamberto Giannini a margine del vertice - le misure di sicurezza che sono già molto alte».

Il livello infatti è stato aumentato è portato al grado più alto già dallo scorso ottobre. Nel corso del Comitato, a cui ha partecipato anche il sindaco Gualtieri, il presidente della comunità ebraica di Roma Victor Fadlun e le più alte cariche fra Questura, comando dei carabinieri, Finanza, Polizia locale si è rinnovata l’attenzione, già massima, con i dispositivi messi in campo da mesi e che, all’occorrenza potranno essere ulteriormente intensificati, senza però creare allarme fra i cittadini. Restano sorvegliati, come già disposto, tutti quegli obiettivi considerati “sensibili” che vanno dall’Ambasciata d’Isreale (chiusa) ai consolati, dai luoghi di culto alle residenze con un’attività di “intelligence” attiva in chiave di prevenzione.

LE RIPERCUSSIONI

Quindi, se la paura c’è ed è soprattutto quella della salute dei propri familiari, non sono da sottovalutare altri aspetti che generano timore in chi nel Ghetto di Roma ci vive o ci lavora. Come sottolineato dalla presidente Di Segni, «i colpi di coda possono esserci e non sono da sottovalutare, è chiaro che può succedere qualcosa o nelle ambasciate o nelle nostre comunità. Già da diversi giorni ci sono queste minacce quindi c’è un’attenzione alta». Ed è proprio la possibilità di “attacchi” da parte di fanatici a preoccupare le persone. «Questo è il posto più sicuro di Roma, tra Digos, carabinieri, finanza. Il quartiere è stra protetto, però la preoccupazione c'è», dice Giovanni, che proprio al Portico d’Ottavia ha un bar. «Mi guardo sempre intorno, quello che mi fa paura è la testa matta che è imprevedibile. Qui c'è anche la vigilanza ebraica, quella privata che controlla le persone, ma un certi tipi di attacchi sono imprevedibili», conclude Giovanni. Dello stesso pensiero Michele, che al Ghetto ci abita: «Il fanatico può sempre esserci e devo dire che ogni tanto il pensiero c’è, ma non si può vivere con l’ansia continua».

C’è invece chi si sente tranquillo e allontana ogni ipotesi di attacco. «Lo Stato italiano sa il fatto suo e fa un grande lavoro, come le forze dell’ordine, che sono sempre disponibili, ci aiutano. Noi qui ci sentiamo al sicuro», afferma Alberto, titolare di un ristorante del Ghetto.

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