L’allarme dell’Ipa: «Previdenza
a rischio per gli impiegati»

L’allarme dell’Ipa: «Previdenza a rischio per gli impiegati»
di Giuseppe Gioffreda
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Martedì 7 Gennaio 2014, 09:05 - Ultimo aggiornamento: 12:26
Rischio stop per l’assistenza sanitaria e i servizi di credito dei dipendenti di Roma Capitale. A lanciare il grido d’allarme il consiglio di amministrazione dell’Ipa, l’Istituto di Previdenza e Assistenza per i dipendenti dell’amministazione capitolina, Ama e Comune di Fiumicino. I dodici membri, già a metà dicembre, hanno preso carta e penna e scritto una lettera al sindaco Ignazio Marino. Un documento nel quale denunciano l’imminente ”paralisi” dell’istituto e si dicono pronti a chiudere i rubinetti cessando l’erogazione dei contributi di varia natura che dovrebbero essere garantiti agli oltre 34mila iscritti e alle loro famiglie.



LA LETTERA

Il motivo? La mancata approvazione dello Statuto dell’ente, che ormai da agosto «giace privo di impulso», si legge nelle 7 pagine della lettera indirizzata al primo cittadino. A vacillare «se entro gennaio non si risolverà la situazione», lamentano i rappresentanti del cda, prestazioni di medicina sociale e preventiva, l’assistenza odontoiatrica e una serie di misure di credito come la concessione di prestiti fiduciari, di anticipazioni o buoni contanti, di polizze con compagnie assicuratrici e altro. Il cda denuncia «la gravissima situazione in cui si trova l’Ipa a causa della mancata approvazione della proposta di Statuto inviata» al sindaco il 28 agosto. E chiede al Campidoglio di mettere mano, e subito, alla situazione per evitare «la cessazione dei servizi che l’istituto rende agli oltre 34mila iscritti e alle loro famiglie, cosa gravissima in un periodo di crisi come questo», spiegano Paolo Invenenato, Paola Ferretti, Massimo Cicco, Giampiero Reali, Giovanni Ivagnilio, Luciana Persiani, Mario Capparelli, Pietro Costabile, Maurizio Torroni, Luciano Andreoni, Tiziano Di Nicola e Stefano Lulli che firmano il documento.



LA SITUAZIONE

A far scricchiolare l’attività dell’ente, che si occupa anche della previdenza dei dipendenti capitolini, è l’incertezza della sua natura giuridica. Soltanto attraverso l’approvazione dello Statuto si potrà definire se l’istituto abbia carattere ”privato” o ”pubblico” e di conseguenza sbrogliare la matassa che oggi rischia imbrigliarlo.Secondo i membri del cda, nel passato la natura ”atipica” dell’Ipa «escludeva che lo stesso fosse una struttura interna al Comune di Roma» e si considerava avesse invece «una prevalenza privatistica». «Nonostante fosse chiara l’indipendenza dell’istituto dall’amministrazione - si legge nella lettera del cda - indipendenza indispensabile a consentire all’istituto di rendere i servizi ai propri iscrittti, la passata amministrazione ha provato a considerare l’Ipa come una propria emanazione diretta, procedendo ad una presa in carico dell’Istituto». Nel periodo di commissarimento del 2012, lamentano gli attuali membri del cda, «il commissario straordinario non è stato in grado di redigere uno statuto che sciogliesse il nodo della natura giuridicadell’istituto» predisponendone uno che ne demandava l’individuazione al futuro consiglio di amministrazione. Ora, la bozza è pronta, ma giace nel cassetto dell’attuale sindaco - scriveva a metà dicembre il cda - «da ormai 120 giorni».



LO STOP

Come messo nero su bianco, l’Ipa, stando ai pareri richiesti ed elaborati da giuristi, dovrebbe essere considerata una ”associazione di diritto privato accompagnata dalla prexisazione che la stessa è d’interesse pubblico”. Ad oggi, dunque, il cda continua a fornire l’attività creditizia agli iscritti, ma rischiando in prima persona. E penalmente.Visto che, ricordano i membri al sindaco, «l’esercizio del credito al di fuori del perimetro delle norme in materia bancaria e creditizia è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 2.065 a 10.329 euro». Ecco perché il cda è pronto a dire basta e sospendere la sua attività. «A meno che volontà diverse, vogliano continuare a violare la legge anche a danno di Roma Capitale, ovvero a mal gestire i contributi versati dagli iscritti», scrivono i membri del consiglio di amministrazione.