Rieti, denaro per sveltire pratiche
all'obitorio: condanna
per un tecnico di Anatomia

Tribunale
di E.F.
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Mercoledì 16 Maggio 2018, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 14:04
RIETI - Per avere la prova che presso l’obitorio reatino un dipendente intascasse mazzette dai parenti dei defunti al fine di agevolare e velocizzare le certificazioni necessarie al rilascio delle salme, si fece riprendere con un telefonino mentre gli cedeva 50 euro finendo però anche lui sotto processo per induzione indebita. Chiude con una condanna e un’assoluzione il primo grado di giudizio della vicenda che vide nel mirino delle indagini l’obitorio dell’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti. Tre anni inflitti dal collegio del tribunale di Rieti (presidente Sabatini, giudici a latere Panariello e Auricchio) al tecnico reatino del servizio di anatomia patologica con mansioni professionali anche presso l’obitorio, mentre nei confronti del coimputato, titolare di un’agenzia di pompe funebri a Rieti (difeso dall’avvocato Stefano Marrocco), c’è stata sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, mancando l’elemento soggettivo del reato (dolo).

L’INCHIESTA
L’inchiesta della Procura reatina, condotta a partire dal 2013 dalla Guardia di finanza, aveva delineato profili di responsabilità (induzione indebita da parte di incaricato di pubblico servizio) nei confronti del dipendente Asl che, secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, dietro l’ottenimento di somme di denaro, rendeva più rapido l’espletamento delle pratiche e delle certificazioni necessarie per il rilascio delle salme. A testimoniarlo il filmato del telefono cellulare in cui l’uomo avrebbe indotto il titolare dell’agenzia di onoranze funebri a fargli una mancia da 50 euro incappando quest’ultimo, inconsapevolmente, nella medesima fattispecie di reato. Filmato la cui acquisizione quale documento probatorio appare quantomeno controversa tanto da essere sempre stata considerata illegittima dalla difesa poiché priva delle previste autorizzazioni di legge. Per il collegio giudicante non fu però una semplice mancia di cortesia per la gentilezza nell’espletamento del lavoro - come sostenuto da difesa e imputato - ma una somma di denaro illecitamente intascata per agevolare le pratiche di rilascio. Il tecnico venne trovato in possesso di contanti (6.400 euro) poi sequestrati dai militari poiché ritenuti provento di illeciti introiti mentre per la difesa la cifra era destinata ad un pagamento privato. Pronto ora il ricorso in appello dopo la lettura delle motivazioni della sentenza. Appello che potrebbe modificare l’iter processuale qualora quella ripresa con il cellulare venisse considerata illegittima, priva di valore in giudizio.
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